venerdì 8 febbraio 2013

Estratto da "Il disabitato": Specchiandomi il mio sguardo:

Specchiandomi il mio sguardo diventa stupido.
Non penso che possa esistere al mondo uno sguardo più stupido e profondamente più svuotato di chi si guarda allo specchio prima di scendere verso qualsiasi luogo al mondo sia diretto, e verso qualsiasi incontro, scontro o non incontro – queste cose non sempre si pensano e si prevedono, ma basta lo specchiarsi a prevedere qualsiasi insano evento successivo – che avvenga in un hotel, in un appartamento di lusso o nei bagni di una stazione, non credo che cambi molto.
Quell'ispezione fugace di controllo e di estrema cura nelle virate di occhiate rapide ma precise, fino agli angoli più cupi del volto e poi degli abiti, frazioni di tessuti e di piccoli nylon in vibrazione, dai punti più insospettabili e inesplorati, fino alla rifrazione più insondabile. O quella piccola frizione delle mimiche facciali che lo ornano, tratti alternati e in una sequenza di varianti complesse e infinite nella loro possibilità di modifica e di penetrazione, denotandomi il più abissale e incolmabile vuoto di deficienza che abbia mai raccolto e intuito da qualsiasi altra forma vivente e animata nell'esercizio meccanico dello sguardo, o nei processi mentali di cognizione passiva all'immagine propria.
Quando rimane fisso e in agguato, anche oltre quella breve e simultanea operazione di controllo privato, per abitarci ancora quando si ritorna fuori e ci si espone alla corrida e all'impatto di nuovi occhi. Dal fondo delle orbite agli incavi degli inguini più segreti e schiumanti del corpo di un altro; che si guardi un paesaggio, una ragazza che corre con un cane o con un fucile carico, a volte non cambia. Ce ne si accorge sempre in ritardo e forse mai, e non ci si dimentica mai del proprio viso specchiato. Lo si filtra sempre in base all'impaccio osservante del proprio sguardo appena dissepolto dall'anestesia idiota dello specchio a muro, appena passato in rivista e pronto per essere ricambiato dalla stessa grassa sorda stupidità di attenzione condensata e stagnante. Quello sguardo viscoso ma preciso, che non vede, non pensa, non vive, ma controlla; e a volte rimane ancora calcolato e misurato nel viso per la macchina operosa del solo controllo ossessivo, anche quando ormai non ci si specchia più, perptuando all'infinito quei tratti statici di maschera tragica di sola maniera, che cerca sempre di perfezionarsi verso altri fondi scomposti, che mai vedono e che mai vedranno".

2 commenti:

Eletta Senso ha detto...

Bellissimo questo brano sullo specchio.
"Il silenzio che abita gli specchi/ ha forzato il suo carcere"- Borges

luigi ha detto...

Grazie, Eletta.
Ha anche delle venature di ironia tragica.
Sapevo che lo avresti colto nel suo nucleo.
saluti
l.s.