domenica 11 novembre 2012

Qualcosa di molto lontano

La memoria abbraccia uno spazio e uno spettro molto ampio di riferimenti e di possibilità.
Qualcosa di molto lontano, che ho visto e che ho vissuto da bambino e che ho ricordato:
oggi pomeriggio ho ricordato la bicicletta del mio nonno paterno, una bicicletta da corsa nera, che gli fu chiesta in prestito da una ragazza con i capelli lunghi, cliente del nostro stesso albergo. La bicicletta le fu prestata, ma la ragazza tardò parecchio ad arrivare, credo che tornò quando era già sera inoltrata. Mio nonno era molto agitato, passeggiava lungo l'ingresso, accanto al cancello, si affacciava di continuo per controllare quando quella cliente ciclista arrivasse; addirittura sospettava che quella ragazza coi capelli lunghi fosse una ladra e non una cliente del nostro albergo, ma io non potevo immaginare che i ladri fossero ragazze coi capelli lunghi. I ladri erano uomini con i capelli corti e con le mascherine ben strette sugli occhi, che arrivavano a notte fonda, e non nel nostro albergo. Quando la ragazza tornò era una ragazza diversa, aveva nello sguardo qualcosa di spaventoso: l'oscurità della sera negli occhi e nei capelli lunghi. Aveva gli occhi lunghi e scuri, come i capelli. Io credo che non sia più tornata quella stessa ragazza del pomeriggio; il viso era il suo ma era devastato da qualcosa che lo rendeva spaventato e infelice. E anche la bici del ritorno non è stata mai più la stessa, nei miei occhi. 
E in quello stesso albergo, ricordo una notte, credo di quella stessa estate, dalle finestre, era molto tardi, sentire dei clienti cantare. Erano clienti dell'albergo, di varie nazionalità, tedeschi, inglesi, francesi, c'era anche un medico egiziano che cantava insieme a tutti gli altri, canzoni napoletane molto antiche e stonate, in coro e tutte con l'accento sbagliato. E dal mio letto vedevo le ombre di una lanterna sull'intonaco rosa, e provavo lo spavento per  tutti quegli accenti così diversi, intrecciati al dialetto antico, nelle diverse faticate tonalità, che cantavano e sembravano felici ma toccavano il mio sonno dell'infelicità di quella ragazza tardiva sulla bicicletta nera di mio nonno, quelle voci, come se fossero mani bagnate che mi toccavano la faccia con i capelli lunghi.
Nella stanza ero da solo con mia madre. Nel giardino dell'albergo, a quell'ora, si sentivano anche i limoni, anche quelli molto verdi, che con il loro odore sostituivano le chitarre  nell'aria della notte e non lasciavano dormire per quanto entravano con forza nelle camere d'albergo, come ladri imbavagliati. Le voci straniere e le canzoni napoletane e la ragazza che era tornata in ritardo e diversa con la bicicletta del nonno e i limoni del giardino dell'albergo, diventavano lunghe ombre tremende dentro il mio cuore di bambino nella notte fonda; tutta la mia vita di quel momento era dentro quell'unico gorgo. 
Le imposte della nostra camera erano socchiuse. E durante il ritornello sembrava che la mia notte avesse dei custodi speciali. Mio padre era anche lui laggiù nel cortile del nostro albergo, insieme agli altri stranieri, uno dei custodi speciali che cantava, era il migliore. Molti anni dopo, a notte fonda, uno dei clienti e custodi speciali di quella serenata dolcissima, lo chiamò a casa, con una voce disturbata, implorante. Gli disse che voleva morire. Poi abbassò.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi ha trasportata nell'angoscia melmosa di quella notte.
Manuela G.

luigi ha detto...

ciao, manuela.
comunque con quel "millemila", mi hai fatto morire dal ridere.
Devo recuperare e ricambiare la tua raffinatezza ironica
al più presto
saluti
l.s.