martedì 20 novembre 2012

Il talento e i processi di revisione

Nei processi di revisione si alternano di continuo diversi livelli di appagamento e di apprendimento, legati in primo luogo a come credevo che fosse questa robaccia che ho tra le mani, e che fino a ieri pareva funzionare, o ancora: chi mi credevo di essere io per essere in grado di valutare una certa chiusa alla revisione di questo letame, meno male che ho controllato...
insomma, questa è routine, una lotta infinita in questo percorso itinerante di illusioni, fraintendimenti, punti di svolta, strazi, stati d'animo contrapposti, intuizioni, ripensamenti, sensi di colpa, quando ormai non posso più intervenire, ma qualche volta, invece, accade quel qualcosa che ti fa pensare che il bello del gioco è proprio nel disordine del cantiere. Nelle ferite, nella polvere di marmo, nella bevuta di una bevanda ghiacciata al sole, dopo la nebbia fitta di un ultimo paragrafo.
Imparo sempre di più che quello di cui si è capaci, quello che ti viene naturale, non è sempre un merito. È solo un inzio, non sei quasi mai tu. Il talento non dice di me qualcosa di più di quello che non mi riesce e mi sfigura, non credo proprio che sia io. Chi si identifica col proprio eventuale talento, senza interessarsi a tutto il resto, scrive per se stesso e non per gli altri. Scrive per dare alle proprie capacità una boccata d'aria, ma non sempre alla propria vita. Non credo che la personalità di uno scrittore si limiti al suo valore o al suo talento, ma abbraccia il mistero molto più ampio della sua vita non scritta e non conosciuta. 
Oggi si valutano le capacità delle persone dai propri doni, dalla propria quantità di talento, ma non dall'equilibrio molto più ampio di altri fattori qualitativi di interazione, dalle soglie di sogno, di buio e di dolore che un'esperienza creativa trattiene e cede, come nell'orgasmo di un maroso.
Che merito c'è a ricevere un dono? Che cosa ho fatto per meritarmelo? Mistero, hai avuto un dono, chiuso, con questo dono sei un eletto, il resto non ci interessa.
I regali è bello farli agli esseri viventi, e farli piangere di gioia per una sopresa, una citofonata imprevista, per cose vive, che fanno bene e che non sono numeri olimpionici. La semplicità...
Ho scritto di getto gli 85 monologhi, in poche sere, ma non credo che vi sia un merito in questo. Il merito è, secondo il mio modesto parere, il tipo di dedizione amorevole e sollecita ai propri tentativi, alla codifica, al lavoro vivo e scrupoloso sui testi. Alla ricerca di un proprio suono e non solo di un proprio acuto. 
Questa odissea di rapimento, turbamenti, odio e fatica, sono quello che ci rimarrà, l'amore per un tempo che è stato nostro, da non misurare con quello di qualcun altro, ma con quello che si era e che si è diventati, nell'esercizio assurdo e delicato di questo impossibile amore.

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