sabato 17 novembre 2012

L'attenzione a uno scritto. La nostalgia verso chi scrive

Dove mi giro vedo persone che scrivono, che descrivono e che cercano in tutti i modi di far sì che qualcuno sia disposto a leggere di questi scritti, di queste descrizioni. A dedicarvi del tempo. A lasciarsi trasportare. Sta diventando molto comune, almeno così la vedo, il desiderio di esporsi e di imporsi all'attenzione, spesso implorandola, sentendosi bene o anche male al solo pensiero di sentirsi letti, semmai immaginando che molte persone a cui si è appena ceduto il dattiloscritto, non stiano pensando ad altro. Cercando un pretesto per telefonarle, senza accennare subito al discorso scrittura, ma andando al largo, in attesa che da un momento all'altro, o anche a inizio telefonata, quello dica: 
"Che cosa incantevole, non pensavo, ma qualcosa di simile, insomma, ma come fai? Me lo dici, è impossibile che con le parole si riesca, ma certo, certo, l'ho letto tutto di un fiato, è stato qualcosa di...come? Sì, il punto della vecchietta che si divora una castagna bollente con tanto di buccia, e del venditore di arance, sì, quando la squarcia e trova un grillo verdissimo e bagnato, che gli salta in bocca, sono scoppiato in lacrime, ma certo, credo che questo tuo stile abbia qualcosa di spaventosamente originale, senza dubbio, adesso lo dovrò passare a Rosanna, vedrai che lo passerà anche alle sue amiche, scusami se non ti ho chiamato io per dirtelo, sai come vanno certe cose, il lavoro, i bambini, adesso anche la danza classica per Ludovica, uno ci pensa, adesso lo chiamo, adesso glielo dico, comunque non appena Rosanna lo attacca, avrai una telefonata per ogni capitolo, con tanto di resconti, sono certo che dirà che sei un genio, anche io credo che tu sia un genio, non ci è mai capitato di conoscere un amico genio, geniale, che scrive in questo modo così diverso, di vecchie che divorano castagne e di grilli bagnati che saltano dalle arance nelle bocche di un venditore, il tuo verde e il tuo arancione saranno i colori della nostra nuova casa, intendo abitazione, no, non parlo di una casa editrice, lo sai che dobbiamo trasferirsci, no? Si tratta ancora di poco, vedrai che quando saremo più vicini potremmo gustare di più la tua genialità insieme ai nostri nuovi amici, e credo che anche loro avranno piacere di leggerti, tu permetterai naturalmente che noi, ma certo, certo che organizzerò una cena sul tuo testo, tutta in tuo onore, faremo l'orata alla brace, sappiamo che ti piace tanto, ma ci mancherebbe, mi hai appena tolto le parole di bocca...",
e così via. Se questo invece non avvenisse, allora il soggetto in questione verrà abbandonato, non più frequentato con la stessa assiduità e intensità di una volta. Rottamato, dopo quel torturante assedio fallito.
Questo è quello che sento un po' nell'aria.
Tornando sulla terra. Cosa c'è di male a scrivere a descrivere e a cercare in tutti i modi che qualcuno sia disposto a leggere e a rileggere gli scritti? Nulla, a meno che non si dimentichi completamente la prospettiva di un ascolto e di un ricambio di attenzioni verso le persone che si assalgono in una sorta di writing-stalking. Chi sa ascoltare, non ha bisogno di mendicare un'attenzione per quello che scrive. Di sognare la celebrazione. Uno scrittore che mendica attenzione o celebrazione, non ascolta e forse non si rende conto di quanto sia difficile riuscire a intrappolare una persona anche per un solo secondo, sfiorarla appena con la parola scritta! Ci vogliono un'infinità di cose, alcune visibili e tangibili, altre inspiegabili. Un accordo di un medio pianista, messo al momento giusto, già ti semina. Uno scrittore non deve competere solo con altri scrittori e scritti, ma anche con altri linguaggi paralleli che possono spiccare per intensità e per tanto altro. Io la vedo così.
C'è bisogno di ascolto. Un ascolto assoluto e silenzioso. Lasciare i pochi scritti a chi dimostri un interesse e quindi coronarli come un aspetto più complesso di relazione, che non sia blindato nella prospettiva murante di un senso unico di assedio, ricezione, fruizione, ingurgito, decantazione.
Vi sono molte persone della mia vita, ma davvero tante, che non sanno che io scrivo. Non sanno che ho questo blog. Non sanno un accidente di questo mio lato oscuro. Qualcuno lo ha saputo da altri, ed è rimasto anche male. Io ho detto che non scrivo, non si scrive fin quando non si cambia qualche piccola cosa nella giornata o nella prospettiva di chi ti legge, o ti elegge. Nello sguardo. Fin quando non si rimane un po' nell'aria in modo che quella lettura sia un piacere per un lettore e non per lo scrittore. Io non posso provare piacere nell'essere tollerato. È molto più edificante ed espressivo essere riconosciuti e amati dalle persone della mia vita per quello che sono e non per quello che tento di fare o di gridare ai quattro venti. Solo quando quello che fai diventa quello che sei, allora qualcosa può accadere. Quando lo scrittore diventa una piccola mancanza, qualcosa a cui ogni tanto si ritorna, senza nemmeno volerlo, come una sorta di nostalgia. Solo in quel caso qualcosa avrà infranto il confine tra lettore e scrittore e avrà dato un senso e una direzione nuova allo scritto.
L'importante è imparare ad ascoltare gli altri, e mai utilizzarli come strumenti di ascolto,  ma come persone da cui imparare e da cui attivare una relazione sana e nutriente di scambio.
Non credo necessario imporre attenzione, se uno scritto avrà gambe per camminare, lo farà da solo, in qualche modo. L'importante è allacciargli le scarpe per bene e consentirgli una piccola strada sterrata.

Tutto qui.

2 commenti:

rosaturca ha detto...

Irresistibili le immagini della vecchietta con la castagna bollente, e del grillo bagnato verdissimo che salta in bocca al venditore d'arance....!
Ho fiducia anch'io nella vita per conto proprio dello scritto nel mondo. Se così non fosse, non ci sarebbe scrittura perché mancherebbe il mistero essenziale del ---Come è possibile? Davvero credo che non sia necessario nessuno sforzo, voglio dire nessuno sforzo oltre quello naturale di venire alla luce. Quanto alle condizioni dell'ascolto, a volte questo fa così paura proprio mentre ci troviamo a metà del guado e non si può tornare indietro. Ma poi è lo scritto stesso, ad una svista della nostra volontà, a offrirsi. Proprio come succede davanti per ogni opera d'arte ---che siamo desti oppure in sogno. Sì, è sempre l'opera a decidere chi può accedere e chi invece rimane sulla soglia a fantasticare un'altra storia.

rosaturca

luigi ha detto...

Sono d'accordo con te. Lo scritto spesso ha una sua autonomia, un suo destino che non va forzato e imposto agli altri, ma semplicemente svelato. Come un viso, un segreto.
grazie dei tuoi commenti folgoranti e vivi!
l.s.