martedì 22 settembre 2015

Ricordandomi di Azzurra


Qualche anno fa, mentre correvo in un parco, mi accorsi di un uccellino domestico che era fuggito da qualche gabbia dei paraggi e si slanciava in diverse pose tra i rami più alti degli alberi. Uno spruzzo, che ogni tanto esplodeva dal verde, poi riaffondava in qualche zona d'ombra, poi, al prossimo giro, si riaffacciava. Un uccellino variopinto e caparbio. Un piumaggio dal fondo bianco gessato ma dalle screziature azzurrine, molto probabile un pappagallino ondulato, una specie alata domestica molto comune e apprezzata per i colori del piumaggio, oltre che per il perfetto adattamento alla vita in gabbia come uccelletto ornamentale. Una specie comunque estranea ai frequentatori volatili autoctoni del parco, che brindava a quella sua avventura con il suo volo sgargiante, come una fiammata da un ultimo ciocco. Eppure, in quel mattino nel parco, quella sua voragine di libertà era un suo colore aggiunto, un nuovo ornamento d'impeto al suo sfondo così composto e pulito; una nota vitale di buon disordine. Era molto tenace l'uccellino australiano, pur non essendo menzionato dagli esperti come un gran volatore, e cercava di godersi quella strana pace, che probabilmente,  – se si fosse stancato e qualche essere umano non lo avesse accudito prima dell'arrivo di un gatto – sarebbe stata eterna. Eppure in quell'inconsapevolezza di quello che mai sarebbe stato o non stato, il volo da stordimento di quell'uccellino senza direzioni e criteri, spalancava un abisso di vita nel parco, che prima di quel mattino non avevo mai percepito così sferzante. Adesso vedevo i contorni degli alberi e delle cose intorno, in modo più concreto e pulsante, solo per la presenza di un piccolo evaso, che ne coglieva, con il suo capriccio esotico e clandestino, la ragione di eternità, la geometria di un abisso insondabile, mai provato o solo immaginato, se non forse in un sogno dalle sue vecchie grate. 
Non ho più saputo nulla di cosa sarà mai stato di quell'uccellino. Era troppo in alto per essere recuperato. Intanto quel suo pugno vitale di bianco illegittimo sparso di azzurro mi è rimasto nel cuore. Tra l'altro mi ricordava gli stessi colori di una pappagallina, che ha accompagnato molti anni della mia vita, fin dalla mia infanzia. Si chiamava Azzurra, appunto per una strisciolina di azzurro al centro del petto, contro un piumaggio immacolato e perfetto, intatto. L'abbiamo allevata per moltissimi anni; anche lei era evasa da un'altra gabbia di chissà dove e capitata un bel mattino nel nostro balcone. E forse, quella sorta di spettro che fece capolino dai rami fitti degli alberi del parco quel mattino, era una sorta di scherzo, forse la follia di un suo ritorno improvviso, a dirmi in qualche modo che la vita, anche solo quel suo attimo, può avere un senso, una ragione, una continuità e un suo nesso armonico pur nella dissonanza e nell'incompatibilità del tempo passato e dei suoi dolori. Proprio come quel ricordo, quello che l'uccellino fuggito evocò dell'altro, e anche questo stesso, che mi ha impegnato nello scrivere questo post, titolandolo tra l'altro come omaggio a un uccellino della mia infanzia e al suo inatteso e misterioso arrivo e ritorno, combinato per una semplice corsa in un parco alberato, nella mia vita.















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