venerdì 17 settembre 2010

Questioni prioritarie e di forme letterarie.

Di solito immagino quale sia la priorità, quando ci si imbatte nella tensione di un testo che preme, a volte senza nemmeno che sia stato cercato, esplodendo dentro e senza preavvisi, come una forma nobile di agguato e di esondazione di un certo territorio pensante e intermittente. Priorità della sua forma, della sua destinazione strutturale, come se questa fosse già viva e presente nello stesso spasmo in ascesa? O invece quella faccenda andrebbe ricostruita o costituita a parte, come un affare privato dello scrittore, processo a parte, e con cui fare i conti quando la brace è più calma e il primo getto di calce ha già formato la sua presa? 
A volte ho le idee molto chiare su tutta la questione o le dinamiche, simpatizzando per un certo determinismo, che porti a svelarmi senza sforzo, quell'assetto inequivocabile e quindi migliore, per il materiale che sto gestendo-subendo in quell'istante, e per quello che sarà il destino compiuto di una data opera, che dalla gestione accorta e anche ispirata di quel materiale, potrebbe in qualche modo venire fuori. Ma non sono mai del tutto in pace, né credo che la questione si possa considerare risolta già in partenza, o almeno non necessariamente pensata come risolta.  Non lo darei come scontato.
Non credo, infatti, di avere ancora elementi esperienziali così schiaccianti, e tali da escludere altre forme possibili a una data idea di scrittura, altre destinazioni per il mio linguaggio, pur potendo desumere di percentuali statistiche che favoriscono (favorirebbero) una certa propensione a una forma letteraria precisa rispetto a un'altra, o in crescita più di altre. Ma potrebbe essere una sensazione, potrei percorrere il binario opposto, convinto del suo contrario.
Non credo che vi sia un percorso uniforme e nemmeno credo che certe cose si decidano fin dall'inizio, per lo meno non razionalmente. Potrebbero poi sussistere ancora altri fattori incidenti e a volte esterni, e non sempre scaturiti dal violento getto di calce, a cui accennavo prima, che potrebbero giocare ugualmente il loro ruolo, comportare svolte improvvise, a volte drammatiche e sofferte, altre illuminanti. 
La sola consapevolezza di questo fattore di relativa irresponsabilità e apertura al possibile precipizio, verso alcune particolari risposte alternative, mi riporta verso un certo stato di quiete e di salute letteraria, come se alla fine si trattasse di percepire e non più di inseguire o di costruire un certo percorso formale, che ha i suoi coni d'ombra, per la materia primitiva e ancora inquieta dei propri testi appena comparsi, come ospiti dell'ultim'ora, quando la cena è già pronta. 
Penso che la forma ideale di assetto, sia quella che, durante lo sviluppo delle revisioni e della maturazione della bozza, conceda a qualsiasi testo quella forza e quel profumo selvatici, originari e tipici del primo getto, mantenendolo fedele a quella fase primitiva e ignota che caratterizza la sua prima e spesso inattesa comparsa. Una forma che lascia intatto quel sapore, sarà la tua forma.
l.s.

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