venerdì 3 gennaio 2020

La voce e lo spettro


Ricominciare. Ogni mattina come se fosse la prima. Una parola nuova, che non decide e non conosce nulla di quelle che l'hanno preceduta, nemmeno dell'ultima. Sembrerebbe che sia sempre tutto da rifare, da riazzerare. Una parte di me che scrive e che riprende il contatto con l'abisso della pagina, interrotto semmai la sera prima, non conosce quello che io abbia mai fatto, compiuto e anche negato dei miei precedenti getti. Tutto potrebbe accadere e precipitare alle mie spalle, come se nella mia vita non avessi mai scritto, e la parola della mattina fosse davvero la prima della mia esistenza. 
Prima di cominciare il post, guardavo con sgomento a diversi manoscritti di qualche anno fa, di lavori lunghi, più o meno consistenti e ispirati, dove non ho riconosciuto quasi nulla della persona che sono e che sento adesso, della mia definizione emotiva, cognitiva e stilistica – intendo quella che percepisco oggi, e che forse, a distanza di tempo, mi sarà ancora negata nell'evoluzione di un successivo disconoscimento. 
È anche per questo che forse scrivere è confinarsi e condannarsi a morte, e ricominciare ancora, per cercare di recuperare una mancanza che si è percepita e che dovrebbe fissare ancora una zona di progressivo incompimento, che forse sarà lo sfondo costante di ogni diagnosi di processo creativo nella rielaborazione di una propria voce. La voce incompiuta che ritorna, riportando lo stesso gelo dell'arrivo di uno spettro, nel tepore di una stanza chiusa.



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