lunedì 4 febbraio 2019

Da un colloquio domenicale con l'editrice


"Ci vogliono troppe cose, F., che non c'entrano con le parole e i vari tecnicismi, ma con un elemento ancora più primordiale, come il rapporto profondo tra il segno e il silenzio. È lì che comincia tutto. Il silenzio del segno e la rottura del silenzio. Giustificare questa rottura ha bisogno di una rielaborazione passiva di anni e di momenti senza parole e senza una lingua. Un quaderno di solo vento, di pietrisco o delle voci dei morti o degli uccelli. Non cambia molto. La natura dello scrivere dovrebbe rimanere oscura e tendere al mistero; evocata da fattori preconcettuali, ma anche dalla necessità di una chiamata o maledizione. La maledizione del silenzio e del segno. Del segno che deve raggiungere la purezza del silenzio, altrimenti la rottura sarà del segno e non del silenzio. [...]".



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