sabato 4 marzo 2017

Ave Virgilio. Carme.




Difficile parlare con serenità di questi bagliori dell'"Ave Virgilio. Carme" del Bernhard in versi. Eppure riemerge con forza questa trafittura del dissenso, sospesa come una scure su qualsiasi ombra o spianata del lavoro. 
Conosco molto bene la sua prosa e il suo teatro, entrambi così potenti, essendone stato folgorato, fin dal primo impatto. Scoprii Bernhard con il romanzo "Il soccombente", romanzo regalatomi da un carissimo amico violinista, nell'occasione di un mio compleanno, in un periodo in cui l'invasamento per lo studio della musica classica aveva raggiunto dei livelli preoccupanti e mi soggiocava completamente, senza speranza. Ma questo romanzo lo apprezzai un po' più avanti e da lì ho cominciato a sprofondare dentro quel mondo, senza riemergerne mai più – chissà se per fortuna o disgrazia. In certi casi le sottomissioni a certi invasamenti dovrebbero limitare, ma nel mio caso hanno apportato aria, stimoli, energia creativa e vitale e ancora tanto altro, di cui non sono nemmeno pienamente consapevole, forse. Allo stesso modo di come è successo con questa raccolta, che mi ha apportato un nutrimento sottile, misterioso, nonostante non sia stato un percorso semplice e lineare di lettura, come lo sono stati diversi altri.
 Ero alla ricerca di un'altra raccolta "Sotto il ferro della luna", che mi sono lasciato sfuggire quest'inverno, ma in compenso qualche giorno fa ho recuperato quest'ultima copia in cartaceo di questa edizione dell'"Ave Virgilio" di Bernhard, – a detta di alcuni non facilmente reperibile – in una suggestiva collana dei quaderni della Fenice di Guanda.
Il tutto frastorna e stordisce, ma illumina. Rispetto alla metodica ritmica e ossessiva della prosa dei romanzi, questi versi incandescenti sono effetti, slanci, lacerazioni, che smembrano tessuti, ideologie, luoghi, cieli azzurri ed epoche, ma nello stesso tempo consentono squarci illuminanti su di una poetica in impetuoso itinere, – forse sulla particolare angolazione di una traiettoria sperimentale o di ricerca sottile per passaggi e moduli stilistici cristallizzati mirabilmente nei percorsi successivi – ispirata da incontri e suggestioni particolarmente propizie nel periodo storico di quella gestazione, come lo stesso Bernhard riconosce in una nota al testo, in cui enumera Eliot, Pound, fino a César Valleyo, gli spagnoli Rafael Alberti e Jorge Guillén.
Ho confrontato con interesse il testo originale a fronte, alla ricerca di un criterio fonetico dentro questa ricca scarpata di suggestioni e miracoli. Ma dovevo addentrarmi nelle risonanze della mia lingua, quella attraverso la quale ho amato tutta l'opera dell'autore in mio possesso, senza nessun particolare confronto sul testo originale, per saziarmene.
L'amore profondo questo scrittore non mi pone, a quanto pare, in una posizione troppo critica  né attendibile nell'evocazione di queste sorsate fredde di versi, che ho assunto sempre all'alba, appena sveglio, come pozione di cultura e di incanto stregonesco, anche se di fronte a un percorso controverso, pensando anche a chi abbia considerato queste prove con dei toni piuttosto duri e severi, stimandole assolutamente inferiori se non addirittura trascurabili, rispetto alla produzione in prosa successiva, quanto meno Flaiano, ma immagino  anche altri. Ma io ne rimango attratto e sempre più rapito.

[...] A Sapri passai
tutto l'abietto mare dormendo
su un catafalco...
i pini morsicavano

la spiaggia imputridita
sulla costa ovest
spremette il mio pianto
dai pori dei bagnanti [...]

Ogni passaggio travalica sempre dei confini e si muove con un'imprudenza fascinosa. Un turbine di colpi, di sinistri, di tensioni e distensioni improvvise, dove il nucleo è sempre la lingua, come dice molto bene Valerio Magrelli:"Quello della lingua corrisponde, in effetti, a un tema centrale della raccolta. Profeta dei deformi, l'io narrante erige il suo carme sulle fondamenta della prosa, tra nomi e contronomi".
In effetti e nella giusta profondità di ascolto, questo strano arazzo risucchia e riporta o forse anticipa davvero diversi mondi, quelli  che si incontreranno più avanti, nel paesaggio labirintico delle sue scorse narrative, frutto di un' irresistibile personalità artistica. Ma questo linguaggio titanico e così controverso di "Ave Virgilio", pur se con qualche punta di acerbo e con la peluria costante dell'ortica sulle sue superfici e intercapedini, continua ad innamorarmi, a consentirmi una perdita costante dentro ogni mio e suo passo, verso una sempre nuova geometria del dirupo.










































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