giovedì 4 aprile 2013

L'orbitale atomico di un'espressione. (La vita, non il suo disegno).


Nella mia visione della narrativa, vi sono suoni e immagini. Nelle sceneggiature vi sono immagini letterarie e dimensioni musicali che si propagano nei suoni.
In ogni elemento filtra un bagliore dell'altro.
Non mi sento equidistante. Divento parte di ciò che sento, di ciò in cui credo. In primo luogo quando avverto che una mia forma di scrittura non gira nel vuoto. La maturazione di una forma espressiva è legata a una serie di condizioni vitali e di relazione con mondi paralleli di ascolto, così come per un elettrone conta l'orbitale atomico, niente di più.
Nessuno scrittore al mondo deve tutto a sé. Nulla di quello che un uomo farà di bello è solo frutto di un suo sforzo. La bellezza non sempre è proporzionata allo sforzo profuso. La mediocrità non sempre a pigrizia o superficialità. C'è dell'altro, e quest'altro è quasi sempre frutto di eventi e venti accidentali che smuovono le pagine e i capelli di una storia, durante il suo compimento, dirottando a volte il suo destino, mutando le sue ombre. Parlo di un contesto, un contesto di situazioni, di attenzioni, di impressioni che sono tanto importanti quanto i contenuti che si vogliono esprimere attraverso quel linguaggio. Il loro orbitale atomico? Forse.
Immaginiamo l'esecuzione del concerto per pianoforte di Chopin n. 1 in una sala vuota. Ascoltiamola con attenzione, quell'esecuzione, se è possibile registriamola. Ritorniamo la sera dopo, a teatro gremito. Riascoltiamo la stessa esecuzione, con la stessa attenzione. Registriamola. Ora:
se quel pianista suonerà per diverse sere con una sala piena, se tra una serata e l'altra si parlerà della sua musica, avrà modo di confrontarsi con della critica, anche di arrabbiarsi o di esaltarsi, la sua musica sarà impregnata anche di questo. In certi casi nel bene e nel male di tutto questo.
Ma da una sala completamente vuota, senza un soffio di vento, due, tre, cinque, nove sere, avremo altra musica. Sarà sempre musica, ma molto diversa. Nel tempo sarà musica per topi.
Non amo la sola foga di esprimermi per il gusto di farlo. Non ha senso senza un binario Non va amata la propria espressività, va forse difesa. Bisogna amare e modulare le condizioni e le situazioni attraverso le quali si accenda quella certa orbita e consenta la maturazione profonda, il compimento e il confronto vivo di un proprio linguaggio, in primo luogo attraverso un atto di fiducia verso lo stesso da parte di un mondo possibilmente competente, che ti porta a esplorare al meglio le possibilità e le potenzialità di una  voce (se una voce c'è: in alcuni casi è un sogno).
Scelgo le mie dimensioni espressive attraverso la vita che si muove intorno a loro durante una certa gestazione. 
La vita, prima di tutto. Non il suo disegno.

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