Il treno delle 23 e 18 era sempre puntuale. Dal mio balcone lo vedevo passare, rallentare e poi fermarsi. Fin dalle prime serate di maggio. Abitavo nella contrada Bruchner, quel treno era uno come i tanti, che passavano durante il giorno, e che rimaneva in sospeso, nella notte, per una banale coincidenza. Ma fu in una sera di giugno che qualcosa dal finestrino del quarto vagone attirò la mia attenzione. C'era qualcuno, da lontano, in piedi e molto vicino al finestrino, che apriva la sua mano verso di me, sforzandosi per attirare in qualche modo la mia attenzione. In un primo momento non pensavo di essere io l'oggetto di quel segnale o saluto. Forse era indirizzato a qualcun altro dei paraggi; eppure intorno c'era solo campagna e silenzio, pochi i balconi accesi; ero uno dei pochi ad abitare la contrada Bruchner in quel periodo. Non sembrava nemmeno un bambino che stava giocando, ma una figura adulta, ancora asessuata nelle ombre, ma che puntava proprio me. Dalla prima sera questo avvenne puntualmente, dalle 23 e 19, ora in cui il treno si fermava, fino alle 23 e 21, ora in cui il treno riprendeva la sua corsa. In quei minuti mi sentivo guatato da quella stessa figura del quarto vagone, con lo stesso movimento in rallentando di quella mano nera nella mia direzione. Non avevo più dubbi, quel passeggero guardava proprio me. Intorno c'era solo buio e io che diventavo un altro mai stato e mai nato, per quei pochi lunghi minuti di oscuro.
Da quella prima visione, prima incerta e indistinta, ma poi sempre più nitida e incisiva, la mia vita ebbe un mutamento. Prima di addormentarmi, avevo davanti agli occhi aperti, nel buio, la forma esatta del quarto vagone. La stessa intensità luminosa dei finestrini e la sagoma ombrata che mi faceva cenno. Era un'immagine fissa, che mi accompagnava fino all'arrivo del sonno, come una sirena, una goccia d'acqua da un rubinetto difettoso. Durante la giornata, nelle ore in cui ero in casa, avvertivo il passaggio di molti treni: ero così abituato al loro sferragliare, che ormai avevano preso i tratti di un suono domestico e confortevole, quasi di una melodia stanca di un canarino, e non mi davano più fastidio, né mi distraevano dalle mie occupazioni. Quel suono del treno, pensavo, mi avrebbe disturbato nel giorno in cui sarebbe cessato perché, in quel caso lì, avrei sentito il rumore della sua assenza. Adesso invece era una compagnia, anche molto dolce e rincuorante.
Intorno alle undici della sera, però, qualcosa cominciava a cambiare. Mi prendeva una strana ansia o febbre dell'attesa; chiudevo tutte le luci della casa, guardando con ossessione l'orologio per vedere quanto mancasse ancora alle 23 e 18. Poi lasciavo accesa solo la luce del mio balconcino, dove mi sistemavo seduto e rapito, fino agli ultimi istanti prima dell'arrivo, della frenata fischiante e di quella breve e intensa sospensione. Quando il teatro del quarto vagone si accendeva nei miei occhi, mi saliva il batticuore e i brividi, respiravo male e guardavo quel braccio che mi cercava e mi amava. Da così lontano. Come non mi era mai successo. Quello era un saluto diverso dagli altri, diverso come me quando lo ricevevo. Anche quando il treno riprendeva la sua marcia, il saluto continuava nella mia gola e si prolungava in un abbraccio oscuro e profumato, che mi spezzava il fiato e le ossa.
Non avevo parlato a nessuno di quello strano fenomeno. Al momento non ne trovavo alcuna ragione.
lunedì 30 luglio 2012
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2 commenti:
Un incipit molto dolce e accattivante. Bellissima l'immagine della mano lontana e sconosciuta che saluta dal treno in sosta.Il treno, simbolo del viaggio e di tutto ciò che è sconosciuto, è un riferimento estremamente romantico. Secondo me devi sviluppare questo incipit perché è il preludio di una storia molto affascinante e piena di mistero.
Grazie Luigi per la delicatezza e il tocco sottile della tua bella scrittura.
Giulia Madonna
Ti ringrazio molto, Giulia.
Questo incipit è già in fase di sviluppo. Mi auguro che mantenga le sue promesse.
un saluto
l.s.
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