giovedì 23 febbraio 2012

Due compleanni: voce narrante e tempo del linguaggio. Racconto-studio

Ritorno sulle dinamiche del racconto "Due compleanni" (titolo modificato di recente, essendo nato come "I due compleanni", una determinazione che mi sembrava troppo dura e che mi ha dissuaso da sola a mantenerla.)
Dunque, apro con la precisazione di considerare il testo in oggetto come racconto-studio, o studio-racconto, non importa. Questo non perché sia incompleto e inferiore rispetto ai racconti normali, ai quali non ho aggiunto, al momento, questa definizione, ma perché mi ha consentito, in corso d'opera, di affezionarmi all'idea di uno studio a matita, con tutte le informazioni e le libertà del tratto leggero e provvisorio di grafite in una certa fase di un certo percorso. Una in particolare: la voce del punto di vista livellata a un certo tempo linguistico di memoria e di vita. 
Il primo punto, forse anche il più importante, secondo me.
La prima persona su cui sviluppo la narrazione, che è anche il protagonista della vicenda, insieme all'inseparabile Denver Spike, saranno i due elementi che muoveranno e sui quali si articolerà la narrazione. Si tratta di due ragazzi. Adesso ci sarebbe da stabilire il tempo di vita della voce narrante, e che relazione di tempo abbia con il tipo di linguaggio che la storia ci rivela appartenere al fuso di vita del protagonista ragazzo.
Mi spiego: chi racconta narra e ricorda di un tempo relativamente lontano, che solo verso il finale verrà focalizzato e rivelato in relazione all'età del personaggio; di un tempo nel quale i pensieri attuali, quelli del momento della narrazione, appartengono alle dinamiche e ai ragionamenti di una persona diversa da quella che si muove e che si racconta, ma anche dalla stessa  che racconta, dal momento che il POV è in prima persona. Questo elemento, analizzato più nel dettaglio il tipo di stile narrativo utilizzato, mi ha fatto scorgere una sorta di regressione, del tempo presente di chi narra, verso la modalità narrativa del tempo rievocato dalla memoria, e quindi di come sarebbe stato narrato quel tempo in quel lontano presente che ritorna, e nell'età di espressione linguistica che avrebbe avuto quella voce allora, con il modo di pensare, di vedere, di rielaborare e di raccontare, propria della sua reale età, l'età che ha avuto nel periodo dell'accaduto e non nel periodo di rielaborazione e di ricordo dell'accaduto. Questo l'ho scoperto lungo le riletture e le successive scorse di modifica delle bozze. Una scrittura che sfiora il diario di bordo di un adolescente cresciuto, il suo occhiale sul ricordo che rivive e regredisce il narrato di chi ricorda e di chi narra.
Pare così che si narri di un tempo finito ma che ricomincia in un nuovo presente, soprattutto perché, oltre a ritornare al momento storico dei fatti, ho adeguato di concerto il linguaggio e la maturità linguistica del ragazzo come era allora, coetaneo e amico del cuore di Denver Spike. Come se il narratore diventasse in tutto e per tutto la figura del personaggio, in tutti i suoi aspetti psicologici e linguistici del periodo in cui si snoda la storia. Credo che sia la prima volta che opto per una certa aderenza del tempo cronologico adeguata anche al livello del linguaggio, come aspetto integrante della dimensione psicologica raccontata e anche per livellarla con quelle con le quali si relaziona. Avrei potuto narrare la storia del ragazzo con la voce presente e più distante del ragazzo ormai uomo, che ricorda, da uomo,  il tempo e l'accadimento del ragazzo, ma con il linguaggio maturo.
È stata una scelta che mi ha interessato, anche perché mi ha consentito di liberare le immagini pure della narrazione, riducendo al minimo le interferenze di un linguaggio troppo aticolato o compiaciuto della sua forma, che a volte può pesare o comunque distogliere, se non addirittura sostituirsi al fatto da raccontare.
Ecco perché mi piace parlare di racconto-studio.

1 commenti:

giulia madonna ha detto...

E' un racconto molto bello, avvolgente, crepuscolare, rarefatto. Amo la scelta fatta dall'autore e condivido pienamente la sua idea di aver "liberato la narrazione dalle interferenze di un linguaggio troppo articolato o compiaciuto della sua forma". Certo le parole, le belle parole sono importanti, a volte necessarie, ma possono, talvolta, essere talmente tante, talmente belle da distogliere, allontanare, confondere dalla narrazione della storia. Amo le belle storie narrate con poche e chiare parole che ti accompagnano docilmente lungo il racconto. "Due compleanni" di Luigi Salerno è, appunto, una bella storia raccontata con la chiarezza e la semplicità delle parole.
Giulia Madonna