sabato 11 febbraio 2012

Non esiste una sola regola.

Non credo che si possa parlare di regole dei dialoghi. I dialoghi possono funzionare in modalità diverse, anche su piani di impostazione del tutto lontani l'uno dall'altro.
Esistono dialoghi meravigliosi, ritmici e credibili, che si snodano su territori opposti e che raggiungono lo stesso il loro scopo di naturalezza e di fluidità.
Qualche esempio vivo.
Da una telefonata. Il testo è il primo volume di "Il tuo volto domani- Febbre e lancia" di Javier Marías.
Ecco come lo scrittore gestisce il discorso mono-diretto di un personaggio femminile al telefono:
"Ciao, magari avevi chiamato, mi dispiace, mia sorella mi ha tenuta un'ora al telefono per farle da psichiatra, va malissimo con il marito e adesso mi considera esperta. Pensa un po'. I bambini già dormono, mi dispiace davvero, li ho messi a letto all'ora solita, la verità è che non mi sono ricordata che era giovedì fino a questo momento, quando ho riagganciato, lo sai quello che succede quando uno vede chiaro ciò che non vede l'altro, lo ripete dieci volte e si esaspera, e anche mia sorella, che in realtà vuole sentire quel che si dice a se stessa e non quello che io posso capire, o consigliarle. Come stai?".
Dunque, fermiamoci un attimino. Quanti di voi, trovandosi tra le mani un dattiloscritto di uno scrittore esordiente o sconosciuto che imposta così una parte di telefonata o comunque buona parte del discorso diretto, storcerebbero il muso? A occhio e croce, tra le persone che ho avuto modo di conoscere in varie circostanze, sia in relazione a miei scritti o comunque su tematiche generiche di scrittura, circa l'ottanta per cento cestinerebbe il manoscritto. Eppure con quelle due paroline finali, messe in coda come fanalino "Come stai?", lo scrittore riesce ad armonizzare e a dare un equilibrio, un ritmo e un ordine naturale, a tutta la scapigliata sequenza precedente. Un tocco invisibile e magico, prezioso, secondo me.
Non farebbero lo stesso con Salinger. Un passo a caso da "Un giorno felice per i pescibanana"; uno come questo:
""Dov'è?"
"Sulla spiaggia".
"Sulla spiaggia? Da solo? E come si comporta sulla spiaggia?".
"Mamma", disse la ragazza, "parli di lui come se fosse pazzo furioso...
"Non ho mai detto questo, Muriel".
"Be', ma lo pensi. Poveretto, se ne sta lì sdraiato, buono buono. Non si toglie nemmeno l'accappatoio".
"Non si toglie l'accappatoio? E perché?".
"E chi lo sa? Sarà perché è così bianco".
Sono certo che una buona percentuale considererebbe questa sequenza molto più funzionale e vera, e continuerebbe a bearsi, a prendere appunti, a distillare col contagocce quelle poche parole così potenti che sono state sfruttate; a quanto siano belle quelle lunghe pezzature di bianco contro lo sciame sismico e viscoso di caratteri precedenti. È proprio così?
Adoro Salinger e credo che i suoi racconti siano incantevoli, ma non sono un modello assoluto di veridicità. Sono contestuali al suo impianto e al suo preciso equilibrio.
Arriviamo ancora all'osso, anche senza telefono. Un passo di Kristof da "La terza menzogna".
Mi domanda:
"Conosci la città?".
"Sì, perfettamente".
"E la frontiera?".
"Anche".
"I tuoi genitori?".
"Non ne ho".
"Sono morti?".
"Non lo so".
"Dove abiti?".
"A casa mia. Nella casa di Nonna che è morta".
"Con chi vivi?".
"Da solo".
"Dov'è la tua casa?".
Siamo al minimo indispensabile. Asciutto, secco, economico, preciso.
Ho citato tre modi di organizzare il discorso di tre scrittori giganteschi, piuttosto differenti l'uno dall'altro, in particolare rispetto al primo esempio. Nessuno ha più o meno ritmo dell'altro. La loro scelta è contestuale all'insieme dell'impianto, delle psicologie, dell'ambiente, delle esigenze narrative, dell'emozione, del cuore occulto di quello che succede. Non si possono smembrare e scorporare le  singole attitudini dall'intero organismo. Ho letto con attenzione tutti e tre i libri da cui ho estratto gli inserti, e credo che nessuno trasgredisca e nessuno rispetti un criterio assoluto.
I criteri assoluti non potranno nulla contro le esigenze drammatiche e contestuali di ogni singola creazione e sensibilità creativa.
Morale della favola?
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