martedì 27 agosto 2019

Impromptu della linea retta


Nella direzione di un percorso creativo, nell'esercizio di solitudine che caratterizza l'intento di una ricerca espressiva, non credo nelle verità assolute, negli archetipi del giusto raccontare, adombrate in diversi decaloghi da persone anche di un certo spessore quando offrono delle possibilità.
Non credo che la vita di un artista sia un insieme di linee rette, di teoremi, di verità, ma l'intreccio di situazioni complesse che delineano, il più delle volte alle sue spalle, la direzione complessa e spesso controversa di un percorso creativo ed esistenziale, in  perenne contrappunto.
Se la scrittura, questo splendiso esercizio estenuante di solitudine, si limitasse a macinare caratteri da essere poi inviati a una figura, più o meno autorevole, che ne decreti il valore artistico assoluto o relativo, il più delle volte momentaneo e commerciale, in diversi casi solo in minima parte artistico e per la restante commerciale, in quel caso ci troviamo nella geometria asfittica della linea retta. Limitare il viaggio a quell'ingresso, con quelle convenzioni, restrizioni, a volte illuminazioni – se questo ingresso crei degli stimoli, quel mordente per riuscire quanto meno ad accostarsi al suo uscio e affinare le proprie lame inventive, allora, forse, ci sta.
L'elemento importante è quello dell'esplorazione delle proprie possibilità e di quanto possano maturare al di là dei decaloghi commerciali, travestiti da galatei delle buone maniere creative per stare sul foglio, allo stesso modo di come si sta a tavola, che imperano ovunque, in questo concetto restrittivo e scolastico di cosa sia giusto e cosa no, mischiato, quasi sempre, alla commestibilità di quel giusto scrivere, di quel far bene solo in un modo, l'unico possibile. Fingere di parlare di Faulkner o di stile, quando invece il problema è nella confezione da dare al dentrificio e al suo standard!
La direzione di chi intraprende un percorso creativo è in primo luogo un affare che ha a che fare con l'estetica, con gli equilibri, la forma, quindi con i pilastri di una certa struttura, la loro resistenza e impermeabilità, non sempre alla loro appetibilità. Tutto questo non serve solo a vendere o svendere il proprio palazzo, ma a sentirsi più vivi nell'abitarlo, lasciandolo ventilare di idee, di esperimenti, di possibilità, di ricordi e di sogni da scorgere, anche da clandestini, dai vetri appannati delle sue finestre.
Il saper raccontare è un qualcosa che non si misura con tanta facilità, come molti si fregiano di poter fare liquidando con un paio di righi lavori molto ben congegnati, di scrittori molto in gamba, anche se con una voce particolare, un po' fuori dal coro, forse. Se una persona mi inviasse un suo scritto, ci penserei su molte volte, prima di dirgli che la sua storia è davvero ben raccontata, allo stesso modo di come ci penserei su molte volte prima di dirgli che la sua storia è mal raccontata. Mi prenderei del tempo per dire la mia. Immagino che questo tempo non ci sia e allora quando non si ha tempo ci si dovrebbe limitare a giustificare la mancanza di tempo, anziché sentenziare altri tipi di mancanze, strutturali a un certo discorso di un'opera che evidentemente non si è voluta approfondire, per una serie di ragioni, anche sacrosante per certi gusti, certi modi di vedere, di pensare, ma che hanno poco a che vedere con la ricerca e l'esplorazione di un suo valore oggettivo, che in diversi casi viene messo in gioco con una certa superficialità, trascinandolo in un discorso soggettivo.
La lentezza, deve o comunque dovrebbe accompagnare ogni passo per chi selezioni le proposte di uno scrittore che ha una sua voce e che offre in qualche modo la sua fiducia e non solo la sua febbre ossessiva dello scrivere e del comparire attraverso questa sua maledizione. Invece si corre: quando non si avverte quella sensazione nota di appetibilità riconosciuta di un certo percorso, lo si destina alle sue tenebre, in diversi casi avviene questo, senza andare oltre, dedicarsi.
Un artista non gestisce dei prodotti, ma conduce nelle possibilità più o meno infinite della propria solitudine. Soprattutto. 
Inviterei quindi alla lentezza, sia gli scrittori che inviano percorsi a volte franosi e ardenti, affidandosi alla cieca, sia agli stessi addetti alla cernita e alla selezione di un certo linguaggio, anche un po' fuori dal coro.
Il guasto è alla base. Una questione di superficialità. Se non si va nel fondo, nulla ha senso.

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