sabato 16 marzo 2013

L'inizio è già la fine. Estetica dell'assurdo.

L'inizio è già la fine.
La prima parola, è quella che conduce tutto. Dalla prima parola le sorti del gioco. Dalla sua forma, la sua nitidezza, opacità, anche quell'opacità sonora, naturalmente. Esistono parole che sono come vetri appannati di primo mattino, che se utilizzate inquinano tutto il resto di quella strana patina, che condiziona la temperatura e i pensieri di chi le scrive. Gli anelli di un lancio di un sasso sulla superficie dell'acqua: una rapida dilatazione, espansione  e simultanea invisibilità, prima che il sasso scrittore sia già nel suo fondo e non sia rimasto altro alla luce.
Dunque una parola, la prima e il suo relativo costrutto, nasconde il seme dell'orchestrazione successiva. Il suo universo è già nel suo grembo. Un universo di suoni e di immagini, ma soprattutto la collocazione temporale di quel significato. Quando inizio devo dirti che tempo sto usando. Non parlo di un tempo coniugabile, ma di una personale valutazione cronologica di quello che avverto in quel determinato istante cone scansione cronologica. Ogni parola scritta e aggiunta si muove in un paradiso temporale appena accennato, senza una conformazione definita in partenza. Se mi chiedono che ore sono, quando sono al primo paragrafo, l'orologio del primo paragrafo sarà oltre, altrove, in un tempo ancora in deformazione, che deve costituirsi in una dimensione parallela  e misteriosa al tempo che vivo o che penso.
La dimensione temporale e irreale delle parole, deve rappresentare la corda e la schiena della narrazione. La spina dorsale invisibile.
Le parole si contaminano nella loro oscurità e lucentezza. L'una vorrebbe scorrere in un senso, alle stesse spalle di chi le scrive. Se comincio con la pioggia, vi sarà una tendenza alla luce, quindi ancora uno spasmo significativo di tempo, mentre se comincio con la luce, potrei aspettarmi rimbombi di tuoni da una zona lontana. Tutto potrebbe rincorrere il suo orgasmo verso uno stadio di contrasto o compensatorio. Molto spesso alcuni costrutti seguono un senso diverso da quello logico, narrativo, sequenziale. Inseguono la stessa dinamica di una cellula, di una formazione spontanea, un processo di mitosi, dall'interfase alla telofase, dove un apparato vitale prende luce da solo, in un processo di crescita o di autorevisione e sostituzione del vecchio, del danneggiato. 
Nel progresso di un solo paragrafo, possono racchiudersi le leggi universali del mondo o anche un annuncio erotico scritto col rossetto sulle pareti di una latrina. L'importante è assecondare il mistero e renderlo commestibile senza usare cucchiaini d'argento o regole e decaloghi da manuali di cucina. Inni alla semplicità, alla chiarezza, rimangono incastonati nell'assoluta insensatezza del voler razionalizzare e semplificare un processo ben più vivo e complesso. Imbalsamarlo ancora prima di ucciderlo.  Il processo non potrà mai sottomettersi all'automatismo e all'economia del risultato. Una scrittura non ha niente a che vedere con un suo risultato. Scrivere per il risultato vuol dire non cominciare mai a dire, ma solo a cercare in tutti i modi di trovarsi, a ottenere la prova attraverso il calcolo, la legge pulita del teorema. Illudersi che esista una prova e qualcuno che da qualche parte del mondo ti dica che ti sei trovato, che il risultato dell'equazione era quella, ecco la prova, guarda: i risultati alla fine del libro, quelli che non si dovrebbero mai guardare quando si scorre in un'equazione lineare.
Una prova che non si troverà mai. Sarà questa, in fondo, l'attrattiva e la maledizione appetitosa di tutto il gioco?  L'estetica del suo assurdo?

4 commenti:

Eletta Senso ha detto...

Sempre molto interessanti le tue riflessioni sulla scrittura. Il tema della tua scrittura è la scrittura. Così rifletti sul ricamo, mentre ricami con i fili delle parole.
Eletta

luigi ha detto...

Io le avverto più come strappi di ricami, che come ricami. Sono contento che tu le avverta sotto una buona luce. Mi rasserena e mi incoraggia.
saluti e grazie
luigi

Eletta Senso ha detto...

Essendo uomo forse non sai che per ricamare occorre continuamente strappare i fili. Non è possibile agire con un unico filo non lacerato.
Buon lavoro
Eletta

luigi ha detto...

Giusto, non ci avevo pensato.
l.s.