giovedì 14 marzo 2013

Condizione e convenzione espressiva:

L'espressione ha bisogno di una condizione, non necessariamente di una convenzione.
La libertà del potersi esprimere, l'individuazione di un possibile seme che attesti la possibilità e quindi la condizione quanto meno necessaria perché una certa forma espressiva avvenga, è l'inizio di un'autentica prigionia, che va gestita con carattere.
La condizione di prigionia della libertà espressiva individuata, è la convenzione che riconosco, l'unica aderente alla circuizione dell'esprimersi.
Ogni possibilità che sfioro è l'inizio di una soffocazione. La comunione con il fruitore oggi porta a un paradiso nebbioso e illusorio.  Le distanze sono enormi. Come la comprensione di un grande amore non detto ma patito.
Per raggiungere l'animo, il pensiero, il cuore di qualcuno, si deve attraversare un abisso, un abisso che non ha niente a che vedere con l'individuazione di una possibile facoltà espressiva, talentuosa, qualcosa del genere (non ho idea di cosa sia il talento e i suoi parenti: tutti ne parlano e si bagnano la bocca con la sua mollica. Io provo nausea per qualcosa di cui non so e non comprendo. Meglio tacerne. Più dignitoso).
Dicevo che mi separa sempre l'abisso. Di buon mattino, fresco e ritemprato, apro la finestra nella stanza dove scrivo e la riempio di aria. Entra l'aria della mia vita. Traccio un rigo, anche una sola parola, e ho rovinato tutto. Mi sono allontanato dalla notte. Pura follia. Mi allontano dall'aria di una finestra aperta per comunicare e rovistare dentro un abisso. Sognando qualcosa di cui non so. Chi mi leggerà mi reputerà un cane. Avvertirà la mia rogna sarcoptica e il mio tetano e così riderà di me. Porterà il suo libro elettronico in uno studio dentistico dove suonano della buona musica, e io sarò cancellato, anche da un solo accordo. Non ci sarò più. Un accordo di settima, anche un semplice accordo maggiore. Addentato dalla filodiffusione. Dalla mascherina verdemare dell'assistente alla poltrona.
Aprire la finestra, anche con un'aria molto fredda e tracciare una riga, è un delitto spaventoso senza pari. Un delitto imperdonabile e metaletterario. L'abisso è invalicabile. La comprensione di quello che sento deve scardinare e scavalcare recinzioni spinate. Non voglio sforzarmi di scrivere. Non è giusto che ci si sforzi di leggere. L'importante è che ciascuno apra le proprie finestre al mattino, e ascolti quello che avviene nella stanza della musica dopo il sonno. Ordinare le scarpe, ascoltare Respighi o anche Webern. Con la finestra aperta la stanza profuma di teatro. I pini di Roma o anche gli Uccelli di Respighi. Una Passacaglia per orchestra di Anton Webern mentre ci si allaccia una scarpa, appena rasati: si ama il cammino non ancora intrapreso,  l'odore dell'acqua di colonia e del detersivo che schiuma sul cortile e sulla tomba dove prega  una vedova ventinovenne.
Questo è quello che importa. Attestare il teatro dell'abisso che mi separa.
L'espressione ha bisogno di una condizione abissale, non necessariamente di una convenzione.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sei sempre così ricco di argomenti, di parole, di concetti, di conoscenza.
Ogni volta che ti leggo, mi fa sentire - sempre - di una profonda e incolmabile ignoranza.
:)
Manuela G.

luigi ha detto...

Per favore, Manu! Questa adesso è proprio grossa, grossa...
intanto ti spero bene e mi auguro sia ritornata in te:
In gamba con il tuo romanzo e tienimi aggiornato.
saluti luigi

Anonimo ha detto...

Ma guarda che sono perfettamente in me, Luigi.
Manu