mercoledì 1 agosto 2012

Attesa (Incipit):

Si attendeva l'arrivo dei genitori di Sauk. Il soggiorno era durato dodici giorni. Dodici giorni in cui i genitori non si erano mai fatti vivi. Non c'erano stati contatti in quel periodo. La giornata di martedì cominciava all'insegna dell'attesa. Il cielo era molto limpido, più degli altri mattini. Il balconcino soleggiato, che dava sul giallo dei campi. Un'aria molto pulita, il canto lindo delle cincie, le ginestre, l'odore forte degli alberi, il frullo delle cicale.  Due piccole altalene di legno dondolavano appena per il vento. Il vecchio Saumek respirava piano, sulla sua poltrona. La sua barba era molto bianca, come la neve. Il primo nipote che gli era stato affidato era tra le cose più preziose che aveva. Lavorava ancora i campi, il vecchio Saumek, ed era un appassionato di scacchi. Nei caseggiati vicini quel vecchio scacchista era una leggenda. Studiava per giorni interi le sue mosse e in quella zona isolata era ancora imbattuto. Vi era una lunga lista di persone appassionate, anche da località campestri più lontane, che volevano sfidarlo e cercare di batterlo. Chi sarebbe mai riuscito a batterlo, avrebbe raggiunto una certa fama in brevissimo tempo nella zona. Era l'ambizione di molti sfidare e vincere il vecchio saggio Saumek. Uno sparuto gruppo di appassionati più giovani decideva invece di prendere solo delle lezioni di scacchi, senza osare sfidarlo. Volevano capire il funzionamento del suo cervello attraverso gli schemi tattici più ingegnosi e complessi, tutto questo senza alcuna fretta. Ma il vecchio Saumek aveva sempre rifiutato. Diceva di non essere affatto un maestro di nulla e che quello che aveva capito non sapeva insegnarlo, e forse non lo aveva nemmeno capito del tutto per insegnarlo a se stesso. Anche agli sfidanti dava ben poche possibilità. Ne accettava massimo un paio ogni mese, secondo un criterio oscuro. Ma in quei dodici giorni, il vecchio aveva mutato completamente le sue abitudini. Nemmeno i due sfidanti del mese avevano il diritto di disturbarlo. Nemmeno il lattaio, che veniva tutte le mattine dal paese, doveva bussare. Nessuno doveva avere un contatto con Saumek in quei dodici giorni. Il lattaio avrebbe lasciato la sua bottiglia fuori alla porta e il vecchio lo avrebbe pagato con il lancio di un vecchio fazzoletto, da una finestra, con dentro le monete ben contate. Il dodicesimo giorno il vecchio non disse una parola, fin dal suo risveglio. Suo nipote saltellava per le stanze come un passero domestico, ogni tanto sporgendosi verso il balconcino, tenendo tra le dita il bordo delle tende di seta, cercando di scrutare qualche auto dal rumore familiare e inconfondibile, come quella dei suoi. Il tempo passava con lentezza. La colazione di Sauk era pronta sul tavolo in marmo della cucina. La sua tazza colma di latte bianco. Il suo pane nero, la sua conserva di fichi verdi con il grosso cucchiaio di legno. Ma Sauk non aveva toccato cibo. Era troppa l'eccitazione. Neanche il nonno quel mattino aveva toccato cibo. Non aveva nemmeno approntato per sé, come tutte le altre mattine. Sentiva l'assenza della fame, molto di più del suo nipote, ma per una ragione contraria. Per il dolore di quell'attesa e non per l'eccitazione, quella del ragazzo, che non vedeva l'ora di rincontrarli. Durante quei dodici giorni il vecchio e il ragazzo avevano parlato a lungo, di tutto quello di cui fosse possibile discutere. Ma non di scacchi e di concimi, ma di altri argomenti. Il vecchio Saumek non era solo uno specialista di scacchi e di concimi, ma anche di molto altro, anche se tutto questo altro non era noto a nessuno delle casupole circostanti e dei borghi vicini e di tutte le campagne limitrofe. Per il ragazzo Sauk il nonno era un libro, un libro fatto di pagine bianche e infinite. Avrebbe chiesto e avrebbe saputo. A qualsiasi domanda avrebbe ricevuto una risposta completa, precisa e articolata ma bianca. Una risposta sempre adeguata, saggia e molto amorevole. Per quei dodici giorni il vecchio e il ragazzo non avevano fatto altro che parlare in bianco. Il ragazzo chiedeva e il vecchio rispondeva, sempre con molto garbo, senza mai affrettarsi. La sua voce dolce e fumante li avvolgeva entrambi in una cortina di amore senza tempo. Cenavano molto presto, ancora con la luce del giorno e con l'ultimo sole che batteva dalle tende sulle loro braccia vicine, che, per quanto fosse piccolo il tavolo, in certi momenti si toccavano.

3 commenti:

giulia madonna ha detto...

Interessante il tema del rapporto tra nonno e nipote. Nella nostra società le persone di una certa età sono considerate solo "vecchie" e vengono ignorate o addirittura abbandonate a se stesse. E' molto bello che tu abbia messo al centro proprio questo tipo di rapporto che può solo fare bene ad un ragazzo per crescere.
Giulia Madonna

Anonimo ha detto...

Leggendo ho atteso ---con commozione, quasi. Incantevole sospensione del tempo; meravigliosa immaginazione bianca dove, alle infantili domande, la mente del vecchio -s'immagina - possa creare fresca, nata nuova ogni volta la risposta sempre diversa che offre al giovane ascoltatore.

rosaturca

luigi ha detto...

@giulia madonna
grazie della tua prospettiva.Il riferimento dell'anziano è un punto importante, in senso lato; spesso è anche la prospettiva più giovane e moderna, o senza tempo. Condivido e ringrazio ancora per la squisita attenzione ai particolari.
@rosaturca
mi piace molto il tuo modo di interagire con quello che leggi. pare che la tua lettura ti consenta di scrivere leggendo, e di rendere quello che hai letto prezioso e poetico. Quando preziosa e poetica a volte è soprattutto la percezione di chi legge, la creatività di approccio che rendono il leggere e lo scrivere una cosa sola, o forse una terza o nemmeno quella. La propria personale attesa.
grazie della visita e a presto,
l.s.