sabato 19 gennaio 2013

Quanto ancora non conosco?

Stamattina, dando una scorsa agli scaffali di una libreria, mi accorgevo di quantosia facile rimanere indietro ed essere sempre all'oscuro di qualche titolo, di qualche autore, semmai anche di qualcosa di indispensabile e di essenziale, che al mio occhio in quel momento potrebbe ahimé non dire niente.
Può succedere, certo, almeno a me è successo. Sarà forse anche qualcosa di essenziale a potermi non dire niente, non so se esista una classifica o una scala Richter delle cose essenziali da sapere, ma è certo che qualcuna di sicuro me ne sarà sfuggita. Ma anche molte di più, perché no!
Non c'è speranza, mi sono detto. Quanto ancora non conosco. Credo che tutto quello che fino ad ora mi è sfuggito sarà molto più numeroso di quello che più o meno ho assimilato, che in qualche modo ho captato. Non credo nemmeno che tutto quello che abbia appreso e conosciuto sia necessariamente fondamentale e non credo nemmeno che il resto mi sarà sfuggito solo perché in quel momento lo ritenevo superfluo, naturalmente. Quello che mi è sfuggito mi è sfuggito. Potrà essere stata una mia mancanza o inadempienza e disattenzione; quante sviste si prendono, di continuo: l'hai visto quello, chi ti ricorda? Quello chi? Sveglia, non è uguale a mister X? Mister X chi? Come, non conosci Mister X? giusto per fare un esempio. Il mondo letterario, musicale, artistico è sempre più veloce, controllare e sapere tutto mi pare un tantino ambizioso. Credo sia impossibile.
Più di una volta ho riflettuto su questa difficoltà a controllare a sapere e a saper dire, di ogni angolino di scaffale, anche di un solo scaffale di libreria, tutto quello che ci sarebbe da sapere e da saper dire su ogni titolo, su ogni testo, su ogni traduzione, su ogni autore, a volte su ogni pagina ed edizione diversa con anni di prime pubblicazioni e relative ristampe. Quando sono da solo in libreria immagino sempre che vi sia qualcuno che si avvicini e che mi dica: mi scusi, potrebbe dirmi qualcosa su questo autore, per esempio, e io potrei essere davvero a digiuno e scandalizzare la persona per non avere la più pallida idea. Così come sono rimasto scandalizzato a mia volta, quando qualcuno ha dimostrato di non avere la più pallida idea di qualcosa che invece conoscevo bene e che ritenevo in quel momento molto importante ed essenziale da sapere per il solo fatto di tenerla in pugno.
Intanto: perché misurare il mondo sulle cose che si sanno, come se fossero le sole importanti solo perché le sappiamo noi? Inutile fingere, ma in diversi casi è così. Ci si affeziona a qualcosa che si conosce, che si è affinata nel tempo, si è assimilata, e la si erge ad archetipo non tanto per il valore della cosa in sé o per un suo reale quoziente di assoluto, ma solo in vista del nostro bagaglio, del fatto che ne abbiamo una colorita e radiosa idea che ci perfeziona e che spesso ci erge a giudici aspri e sentenziosi verso chi in quel momento quella certa cosa non la sa e non la possiede quanto noi. 
(E questo significa avere una cultura?) E perché, allora, avvilirsi quando qualcosa non la si conosce per bene come si dovrebbe o non la si conosce affatto? Chi stabilisce il livello e la gradazione "alcolica" consentita di quel che si dovrebbe assolutamente sapere o di quello che potrebbe essere trascurato e che cosa invece andrebbe assolutamente assimilato in una formazione individuale? Criteri ve ne saranno, ma saranno su misura per la mia vita, per la mia persona, per quello che la mia persona sente, ascolta, vede e odora in questo preciso istante?
Non sempre sarà una colpa o un delitto non essere al corrente di cose ritenute anche molto importanti. Le cose davvero molto importanti sono davvero molte nella vita, molte di più di quanto si possa immaginare, non sarebbe possibile controllare e dominare nei dettagli la loro importanza, o peggio ancora farsi importanti e luccicanti per luce riflessa della loro importanza che si conosce o si possiede come se fosse una donna molto ambita. Ci sarà sempre qualche brutta figura dietro l'angolo che mi aspetta, ne sono certo. Il fatto di non farle così spesso non vuol dire che non sia a rischio. E anche il fatto di sapere ogni tanto appena qualcosa in più di qualcun altro non deve farmi inorgoglire così come non deve farmi inabissare nella frustrazione quando mi accorgo della mia possibile ignoranza crassa o di analfabetismo di ritorno – credo addirittura, se non ricordo male, di essere incappato per un rigo un po' azzardato di un mio racconto, in qualcuno che mi consigliava di ripassare le regole sintattiche, ma ci sta, certo, quando ci si espone si deve accettare che a qualcuno puoi dare l'impressione di non essere e di non sapere come tu credevi di essere e quanto credevi di sapere. 
Il punto su cui batto e con cui concludo è invece un altro: il mio sapere nasce da una circostanza affettuosa, essenzialmente da una sensazione personale e inscrutabile di agio, di urgenza e di affetto verso qualcosa che mi attirerà e che amerò per svariate ragioni ancora oggi insondabili, che potranno essere spirituali, emozionali, molto oscure e profonde e così poco legate al perfezionamento di un certo bagaglio tecnico da sfoggiare, e da tenere sempre bene in ordine e bene in vista nelle serate importanti. Così come non esibisco e non metto in lista le persone e tutti gli amici che amo, così come tutti i passaggi importanti e delicati della mia vita, anche quello che ho imparato, così come quello che non ho imparato e che ho perduto, in qualche modo rimarrà un affetto dolcemente e misteriosamente privato. 
Notte. 

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