Di una persona appena morta, nota e pubblica, anche se non direttamente mai conosciuta, frequentata e mai incontrata di persona, rimane sempre nell'aria un certo suono. Il richiamo di un suono intimo, molto profondo, simile a quei sonar che i bambini tanto amano immaginare sentire dai delfini e dalle orche dai fondali marini, una strana voce all'orecchio che ti sussurra.
Un suono di vita che si accompagna a una notizia di morte. Il suo accento. La sua voce chiara, con una venatura di asprezza materna e di biondo e di azzurrastro dentro, ma certo, esistono voci aspre e bionde azzurrastre, così come esisteranno voci brune, rossicce, bianche, cilestrine o malva. La voce di Mariangela Melato è il suono vitale che mi riecheggia dentro dopo lo squillo della sua fine.
Ogni annuncio di morte lancia in chi lo coglie il bagliore vitale del defunto. Quel certo bagliore che forse in vita, distratto dalla certezza e dall'abitudine di considerare eterni e invisibili i vivi e i visi più noti, non avrei mai colto con tanta luce, tempestosa familiarità o irruenza. Il morto che d'incanto vive, per un istante o anche per una buona manciata di istanti se non per sempre, molto di più che se lo avessi visto o sentito vivo in questo preciso momento. Sarà anche paradossale, ma è quello che ho avvertito questo pomeriggio, alla notizia di questa scomparsa inattesa: la buona luce del suo suono.
Ogni annuncio di morte lancia in chi lo coglie il bagliore vitale del defunto. Quel certo bagliore che forse in vita, distratto dalla certezza e dall'abitudine di considerare eterni e invisibili i vivi e i visi più noti, non avrei mai colto con tanta luce, tempestosa familiarità o irruenza. Il morto che d'incanto vive, per un istante o anche per una buona manciata di istanti se non per sempre, molto di più che se lo avessi visto o sentito vivo in questo preciso momento. Sarà anche paradossale, ma è quello che ho avvertito questo pomeriggio, alla notizia di questa scomparsa inattesa: la buona luce del suo suono.
La morte di una persona e di un'attrice così viva, (non è un caso che ho accostato i due termini: la persona è già legata etimologicamente all'idea di una maschera) viva della sua bravura, dedizione, immersione, religiosità del gesto teatrale, possenza espressiva, interpretativa, la fa ancora più viva dei vivi.
L'arte di solito sottrae e concede, nella sofferenza dell'artista, – anche da sano un artista è cosparso di dolore, nelle prove più riuscite vi è sempre il segno magico della fatica, della sottrazione che è dedizione e della dedizione più assoluta che è sottrazione. Il talento è condanna a faticare ma anche a gioire della bellezza di questa fatica. Ogni dono è fatica, espiazione dello stesso. Ogni parola che arrivi da un dono è toccata dallo zucchero nero di una fatica infinita ma gioiosa del suo stesso dolore, una fatica che diventa pace e che insegna come si diventa ancora più vivi e felici, nella memoria, quando a un certo punto si tace.
Ecco che cosa ho sentito:
2 commenti:
Bellissime le tue parole, Luigi, e vere. La morte e la vita, due opposti che si attraggono tanto da essere indistinti. Quando poi a morire è un'artista di così grande talento e personalità il vuoto che lascia fa più rumore.
Addio Mariangela, ci macherai.
Grazie a te, Giulia
per la visita e per l'attenzione
buona serata
l.s.
Posta un commento