a Glauco Felici
Cervantes sosteneva che "tradurre da una lingua all'altra è come guardare gli arazzi fiamminghi dalla parte di dietro; le figure si vedono, ma sono piene di fili che le confondono": è questo il torto che si vorrebbe riservare a un grandioso tessitore come Lezama?
G.F.
G.F.
Apprendo della morte di Glauco Felici da un tweet in lingua spagnola, l'altra sera, poco dopo aver cenato. Il tweet diceva così: "Fallecimiento de Glauco Felici", tweet che proveniva dall'account dello scrittore spagnolo Javier Marías e che riportava con un link al suo blog, dove vedevo in una foto il traduttore sorridere con un'espressione luminosa e serena, mentre posava alla consegna del premio Monselice, ottenuto per la traduzione del terzo volume "Veleno e ombra e addio" ultimo romanzo di epilogo della trilogia dello stesso Marías "Il tuo volto domani" (titolo originale: "Tu rostro mañana").
In un primo momento devo riconoscere di non aver realizzato subito l'esatto significato del termine spagnolo "Fallecimiento", pur percependo che qualcosa di strano era accaduta; così ho controllato su di un dizionario Spanish - English, dove ho trovato il suo corrispettivo inglese: death. 66 anni, un infarto. Così ci lascia di colpo un traduttore di un così grande spessore e capacità, attraverso cui ho letto, riletto, straletto "Paradiso" di Lezama Lima, quasi tutto Marías, diversi romanzi di Mario Vargas Llosa e credo ancora dell'altro. Felici ha reso quindi luminose e felici queste frequentazioni folgoranti e indimenticabili, che devono alla sua mano la loro esistenza nella mia vita esattamente quanto chi le ha scritte.
È stato il tramite e il ponte ultrasensibile verso scrittori e scritture che ho molto amato e che amo ancora profondamente, che mi hanno conquistato, formato, attratto, difeso e rafforzato. Pur riconoscendo gli aspetti sonori ed espressivi del testo originale, le diverse considerazioni (basti pensare alla stessa disanima del corsivo d'inizio in cui Felici cita Cervantes e i fili degli arazzi fiamminghi), devo anche aggiungere che questi scrittori e queste scritture mi hanno raggiunto e rapito nell'emozione perché sono entrati nell'alveo della mia lingua madre, (io ricordo e ricorderò sempre nella mia lingua, e mai in nessun'altra), altrimenti non avrebbero trovato quel varco emozionale e intimo così ben riuscito e preciso, che me li ha svelati e rivelati in tutto il loro splendore, per quello che erano, che potevano essere e che sono e saranno stati. Ecco quindi l'importanza del traduttore, il suo ruolo vitale, la coronaria fragile e preziosa che consente il flusso, l'invisibile continuista che sostiene e conduce l'esecuzione.
Il testo che il traduttore mi concede, me lo consegna a me lettore, con tutto il possibile sfumato del suo originale, filtrato attraverso le sonorità lontane e i corrispettivi della mia e nostra lingua comune, l'unico varco principale di accesso diretto, di contatto e di incontro.
Credo davvero che ritorni in ballo una questione di sensitività triplice, tra traduttore, scrittore e lettore, fatta di scambi, incontri, scintillii. Il linguaggio che io parlo, non è solo uno strumento codificato con cui mi approprio di informazioni o con cui ingurgito bit, ma è correlato a tutto l'impianto complesso e mutante della mia persona, non solo a quella che legge, ma quella che va a pesca, che corre, che fischia, che si arrabbia, che pensa o che si innamora. La mia lingua sarà così la mia unica possibile voce di questo momento, di questo attimo stesso in cui sto scrivendo, che cerca di prendere da quello che ha sentito il noto e l'ignoto, ancora una volta la sua possibile eco. Un traduttore di razza terrà conto di questo particolare in ogni passaggio, in ogni dettaglio e facendolo sempre con grande umiltà, come lo stesso Felici ha dichiarato, tenendo anche ben presente che la lingua di partenza, quella con cui lo scrittore ha immaginato, ha recepito, ha creato, ha tentato le evocazioni e le ha celebrate nell'incanto, sarà ben diversa così come saranno ben diverse le intenzioni e le modulazioni con cui quest'altra lingua tenterà di esprimersi e di imprimersi dentro il lettore straniero. La coesione di punti diversi è un lavoro di ricamo fatto al buio, spesso con il polso che trema, ma fatto di grandi luminescenze e di altrettanti chiaroscuri che daranno una profondità unica alla prospettiva d'insieme del testo, una certificazione lieve del suo non stato, o possibile nuovo essere vivo in altre zone, forse compatibili e possibili, anche se non ancora tracciate. Anche per questo Felici continuerà a condurci nel suo viadotto incantato del bel tradotto, senza più sfumare, come un sentiero sempre nuovo e mai battuto, attraverso le parole che ha riscritto e ricreato dalla cura sorridente delle sue opere, come se nuove o ancora mai nate. Così come con quelle che non tradurrà e che continueranno a parlare, in ogni caso, del suo tocco possente e visivo da arazzo fiammingo.
È stato il tramite e il ponte ultrasensibile verso scrittori e scritture che ho molto amato e che amo ancora profondamente, che mi hanno conquistato, formato, attratto, difeso e rafforzato. Pur riconoscendo gli aspetti sonori ed espressivi del testo originale, le diverse considerazioni (basti pensare alla stessa disanima del corsivo d'inizio in cui Felici cita Cervantes e i fili degli arazzi fiamminghi), devo anche aggiungere che questi scrittori e queste scritture mi hanno raggiunto e rapito nell'emozione perché sono entrati nell'alveo della mia lingua madre, (io ricordo e ricorderò sempre nella mia lingua, e mai in nessun'altra), altrimenti non avrebbero trovato quel varco emozionale e intimo così ben riuscito e preciso, che me li ha svelati e rivelati in tutto il loro splendore, per quello che erano, che potevano essere e che sono e saranno stati. Ecco quindi l'importanza del traduttore, il suo ruolo vitale, la coronaria fragile e preziosa che consente il flusso, l'invisibile continuista che sostiene e conduce l'esecuzione.
Il testo che il traduttore mi concede, me lo consegna a me lettore, con tutto il possibile sfumato del suo originale, filtrato attraverso le sonorità lontane e i corrispettivi della mia e nostra lingua comune, l'unico varco principale di accesso diretto, di contatto e di incontro.
Credo davvero che ritorni in ballo una questione di sensitività triplice, tra traduttore, scrittore e lettore, fatta di scambi, incontri, scintillii. Il linguaggio che io parlo, non è solo uno strumento codificato con cui mi approprio di informazioni o con cui ingurgito bit, ma è correlato a tutto l'impianto complesso e mutante della mia persona, non solo a quella che legge, ma quella che va a pesca, che corre, che fischia, che si arrabbia, che pensa o che si innamora. La mia lingua sarà così la mia unica possibile voce di questo momento, di questo attimo stesso in cui sto scrivendo, che cerca di prendere da quello che ha sentito il noto e l'ignoto, ancora una volta la sua possibile eco. Un traduttore di razza terrà conto di questo particolare in ogni passaggio, in ogni dettaglio e facendolo sempre con grande umiltà, come lo stesso Felici ha dichiarato, tenendo anche ben presente che la lingua di partenza, quella con cui lo scrittore ha immaginato, ha recepito, ha creato, ha tentato le evocazioni e le ha celebrate nell'incanto, sarà ben diversa così come saranno ben diverse le intenzioni e le modulazioni con cui quest'altra lingua tenterà di esprimersi e di imprimersi dentro il lettore straniero. La coesione di punti diversi è un lavoro di ricamo fatto al buio, spesso con il polso che trema, ma fatto di grandi luminescenze e di altrettanti chiaroscuri che daranno una profondità unica alla prospettiva d'insieme del testo, una certificazione lieve del suo non stato, o possibile nuovo essere vivo in altre zone, forse compatibili e possibili, anche se non ancora tracciate. Anche per questo Felici continuerà a condurci nel suo viadotto incantato del bel tradotto, senza più sfumare, come un sentiero sempre nuovo e mai battuto, attraverso le parole che ha riscritto e ricreato dalla cura sorridente delle sue opere, come se nuove o ancora mai nate. Così come con quelle che non tradurrà e che continueranno a parlare, in ogni caso, del suo tocco possente e visivo da arazzo fiammingo.
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