giovedì 20 settembre 2012

Imparare il leggere e la lentezza

Avverto l'apprendimento della lettura come un processo sempre aperto e in perenne espansione. I codici si apprendono nei primi anni, tutto quello che i codici non dicono o che dicono sarà una sfida aperta, in continua combustione. L'averne appreso da bambino i rudimenti, non significa saper leggere qualsiasi cosa come andrebbe davvero letta. Ogni libro cerca il suo radar. Anche i lettori, come gli scrittori, devono formarsi un proprio radar, al proprio ascolto, alla qualità di un suono, per incontrare un libro nella giusta o anche ingiusta profondità, ma che sia un attraversamento di più strati e non di pagine. Questo perché anche la lettura è una faccenda creativa, assolutamente creativa, come la scrittura. 
Ma qualcosa che si è appresa non sempre si è imparata del tutto. Posso apprendere la tecnica pianistica senza viverla nella musica ma solo nell'esercizio ginnico a casa, e quindi non integrarla nel pieno della mia vita aperta (anche lo scrivere rischia di diventare un esercizio ginnico, perfezionato al massimo, ma senza un campo aperto di confronto, di scambio, di crescita, di ricerca, di stimoli, non ci sarà alcuna forza musicale, ma solo suoni brillantini e intonati. Muti). 
Pensavo stamattina giusto al tempo di posa del mio sguardo sulle parole lette, alla necessità di silenzio, all'avvicendarsi di pensieri paralleli, intrinseci, disturbanti e del tutto estranei al testo, e di quanta attenzione richieda tutto questo mondo così mutante e poliedrico. Quella stessa attenzione del lupo alla luna. Quindi sto imparando solo a rallentare e a rallentarmi, e solo in questo modo, dentro le parole, saprò coglierne gli attriti, i magnetismi, le luci mostrate e i riflessi velati o invisibili, gli odori nell'aria che cambia, cercando di collaudare nel buio un mio piccolo radar, ma soprattutto rallentandovi lo sguardo in un altro tempo, andando, ritornando, cercando ancora indietro e poi di nuovo più avanti, ma senza alcuno sforzo. Accostandomi a qualsiasi pagina con l'occhio fresco e calmo del lupo bianco, nel suo grande silenzio.

6 commenti:

Marco ha detto...

Hai ragione quando dici che i lettori devono formarsi un proprio radar. Lo fanno? Ne dubito. Se 7 italiani su 10 hanno difficoltà a comprendere un testo di media difficoltà, altro che radar. Qui bisogna tornare all'ABC.
Leggere e scrivere sono un apprendistato continuo, che cercano (soprattutto la scrittura) il confronto. Ma prima ancora il silenzio. Tutto hanno questa brama di arrivare in cima, di agguantare il successo ma solo il silenzio non tradisce, non illude.

luigi ha detto...

Apprendistato continuo e silenzioso. Il gusto del provare, del ritornare sui propri passi, del fare, sfare e disfare. Di nascosto. Non sarà forse questa una sorta di cima silenziosa, di contratto solitario con se stessi, con la propria fantasia e capacità immaginativa?
In gamba con il tuo libro.
saluti
l.s.

Anonimo ha detto...

Parto dal presupposto che leggere è già scrivere. Chi legge non come pagine su pagine, ma addentrandosi nello scritto uno strato dopo l'altro, abbandonandosi al suono e al movimento, scrive già senza saperlo. Cosa scrive? Forse un'altra traiettoria possibile, il suo racconto della storia, il suo ascolto. O più semplicemente la sua traccia nella storia dell'umanità. Quasi come se il riuscire a cogliere la voce dello scritto dipendesse dalla capacità di tradurre per noi, per ciascuno di noi, quello che vuole dire. Mi rendo conto che quello che penso può apparire piuttosto l'elogio di un tradimento, quando evidentemente comporta anche un certo distoglimento dallo scritto, per consentire alla lettura quello spazio vuoto in cui possano riecheggiare tutte le voci contenute nel silenzio dello scritto, che premono ancora di essere raccontate.
Si pretende d'insegnare a leggere ai bambini come se questi fossero una tabula rasa, come se fin dalla prima capacità di sguardo quelli non avessero già incominciato a leggere, a tradurre il mondo intorno. A scrivere, anche. Credo che l'apprendimento scolastico dei codici del leggere rappresenti per ciascuno di noi una catastrofe. Per questo, in età adulta e nel caso fortunato in cui si abbia ancora un poco d'amore e d'immaginazione, può accadere di avvertire qualcosa, una spinta come una necessità primaria e irrinunciabile di tentare l'avventura solitaria e lenta ("Tres lent et sans rigueur") di "posare (finalmente, nuovamente!) lo sguardo sulle parole lette". Proprio così: il nostro sguardo sulle parole come fossero cose, l'attenzione animale del nostro essere umano, il tempo dell'infanzia che non finisce di venire.

rosaturca

luigi ha detto...

Tres lent et sans rigueur": hai detto davvero tutto. Lentezza ispirata come possibilità di contatto e non di contratto con una pagina.
saluti
l.s.

Anonimo ha detto...

"Tres lent et sans rigueur" è il nome del movimento del terzo dei quindici versetti per i vespri delle Feste della Santa Vergine, di Marcel Dupré, che scoprivo anni fa come una folgorazione inattesa dandomi la sensazione, fin da quel primo ascolto, di aver trovato manifesto in musica il senso più pieno di quel genere di lentezza di cui scrivi tu.
rosaturca

luigi ha detto...

Molto bello e sospeso.
l.s.