venerdì 22 marzo 2013

Ideologia e linguaggio: Sanguineti su Miller


Credo di avere acquistato Ideologia e linguaggio, di Edoardo Sanguineti, per rivisitare Miller dalle sue fauci. Di Sanguineti avevo appena terminato Il gatto lupesco, in cartaceo, raccolta caleidoscopica che racchiudeva un raggio molto ampio e significativo della sua produzione (1982 -2001), e avevo gustato le note a un'edizione dell'opera completa di Gozzano della Bur – per cui ero abbastanza allenato a  certe tensioni e torsioni ginniche di bellezza –, quando mi imbattevo nel grandissimo saggio Miller una poetica barocca, inserito appunto in Ideologia e linguaggio, come avevo già annusato nella scorsa elettronica dell'indice (formato ePub da urlo: di una nitidezza e una qualità dei caratteri davvero straordinarie). Uno scritto lucidissimo e davvero imperdibile,   come ho avuto modo di constatare dopo ripetute e attente letture.
Sanguineti raccoglie dei tratti essenziali della poetica milleriana, e li restituisce in una luce nuova e originale, dentro una fosoforescenza e un acume che danno i brividi.
Credo di aver letto i due Tropici di Miller, tra le quattro o le cinque volte – il Tropico del Cancro l'ho cominciato a quattordici anni, in un'estate afosa, sprofondandovi dentro, come in un baratro luminoso e senza fondo: da allora non ho mai finito di interessarmene e di scorgerne arcani, archetipi, arcate barocche e architravi infrante – ma questo periscopio di Sanguineti entra da un lato particolarissimo, chiarendomi nuovi lati oscuri e oscurandomi, in modo infallibile e preciso, molti altri lati che ritenevo piuttosto chiari o quanto meno chiariti.
Dunque, veniamo ai fatti e ai misfatti. Qualche stralcio ve lo devo. Ai conoscitori e ai puristi lascio le analisi che mi hanno maggiormente scosso. Non altro.
Ciascuno esplorerà e macinerà in segreto, nella sua personale dimensione.

Cito Sanguineti insieme al suo citare Miller:
E la barocca immagine del grande libro del mondo ritorna, approfondita, nelle stupende pagine che chiudono il capitolo I di Plexus:
(Adesso segue stralcio di Miller):
Se prendevo il tram o la metropolitana, leggevo in piedi, anche fuori, sulla piattaforma del treno sopraelevato. Disceso dal treno continuavo a leggere...leggevo le facce, leggevo i gesti, leggevo i passi, leggevo l'architettura, leggevo le strade, le passioni, i delitti. Tutto, sì, tutto veniva notato, analizzato, confrontato e descritto; per uso futuro [...]. Prima ancora che avessi abbozzato il piano del mio primo libro, nel mio spirito brulicavano già centinaia di personaggi. Ero un libro ambulante, parlante, un compendio enciclopedico che non cessava di gonfiarsi, come un tumore maligno.



Adesso ritorna Sanguineti:

Dove al libro dell'universo viene a corrispondere, nitidamente, il libro dell'uomo, il libro dello scrittore: macrocosmo, precisamente, e microcosmo.
Si capisce: dalla Recherce al Portrait, dalle Paludes al Kröger, il caso Miller non può davvero apparire eccezionale, calcolato in un simile registro. Il destino del romanzo si configura assai sovente, nel nostro secolo (e al punto che pare legittimo dubitare se ancora si tratti veramente di romanzo), in questi termini: romanzo del destino di un romanziere, storia, appunto, di una vocazione.

E ancora, per concludere:
Torniamo allora alle ultime pagine di Plexus, per un istante, e leggiamo:

Nel preciso istante in cui mi sedevo davanti alla macchina da scrivere, perdevo ogni spontaneità. L'idea del servirmi del pronome "io" non mi era venuta ancora, in quella epoca. Perché vorrei saperlo. Quale inibizione mi tratteneva? Forse non ero ancora diventato l'"io del mio io"?

E così, Sanguineti scrive:
Il parente prossimo, allora, non sarà davvero il Dante del libello giovanile, ma il Rousseau delle Confessions.



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