L'unica ragione che mi spinge a esprimermi, non ha ragione, se non la speranza di dire qualcosa che possa essere, in qualche mondo misterioso e irrazionale, profondamente amato.
Non analizzato, sezionato, giudicato, crivellato, ruminato, pubblicato, rifiutato, ma semplicemente
profondamente amato.
Non è una ragione, questa illusione, e non ha ragione. Tutto quello che si immagina di fare ha a che fare con una misteriosa congettura, che ne assorbe il senso, la ragione, l'impulso, la sua luce prima.
Come l'ascoltare della musica con un non vedente, comporta l'estensione infinita di un proprio pulsar. Assimilare la cultura cromatica del non vedente attraverso la percezione purissima dei suoni e della luce, che nella sua fase adulta non differisce dalla cultura cromatica di un adulto vedente, mi ricorda l'impulso a scrivere verso un luogo lontano che mi vede senza occhi. Questa è la sola dimensione espressiva che riconosco, quella delle percezioni e delle sensazioni cromatiche, che spaziano nel buio della mia luce. Non altro.
È per questo che la mia ragione di scrittura o di espressione non ha ragione, se non quella speranza impossibile, e solo perché impossibile realizzabile.
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