È sabato pomeriggio. Dalla mia stanza sento le grida di alcuni bambini che si rincorrono. Sento anche le grida delle loro scarpe e dei loro passi, quando rallentano.
Penso e scrivo, pensando a quanto si cambi, attimo dopo attimo: percezione di sé, di quello che si sente, di quello che si crede di sentire.
A volte la mia vita è la mia ragazza che mi sta seduta sulle ginocchia, che mi guarda dentro gli occhi, mi chiede che cosa facciamo, mi dà il broncio. Ha il viso truccato e pieno di aria aperta. Una lunga passeggiata, le dico, una passeggiata senza parole, ma con questo viso bagnato dalle ombre. Una giornata bellissima, questa mia vita che cambia e che mi rimane dentro, come una persona.
Ritorno al senso di cambiamento, anche sulle mie idee. Su quello che avverto giusto e ingiusto. Al disgusto di dire per il solo fare.
Quando scrivo cerco del nuovo che non conosco di me. Non mi interessa di parlare di quello che già conosco di me. Quello che conosco si racconta senza necessità che si cerchi. Solo la parte che non so, quella appena prima del cambiamento, quella ancora scomparsa prima di comparire, è l'unica che vale la pena di raccontare. Il nuovo è il mio lato scomparso.
Non trovo interesse nell'ingegneria della letteratura, nemmeno in un mondo di lettori che decidono la letteratura dal numero delle parole ingerite, così come quelli che decidono l'amore dal numero delle chiavate riuscite.
Non trovo interesse nel mondo che conta e che misura. Che calcola, che delinea. Non credo nelle verità assolute.
Ho imparato a scrivere senza occhi. La scrittura non è fatta di parole o di musei, ma di condizioni sentimentali e tragiche. Ho trovato grandi rivelazioni in persone che non mi hanno mai parlato di libri, di stili, di economia narrativa. In persone che leggono poco o che non hanno quasi mai letto. Ho amato la letteratura nei luoghi lontani, nei cuori dove il suo sole non batte. Ho scoperto di avere una voce, nei luoghi dove questa voce non potrà mai arrivare. Ho imparato a leggere senza sapere che lo stavo imparando. Non credo di desiderare un'estensione della mia capacità di ingegneria espressiva, quella che consente di essere performante e funzionale, come un proiettile, un battello a vapore.
Preferisco una regressione ma una sincerità e un lavoro tremendamente profondo. Un lavoro divorato dal buio di una mia luce. Un lavoro al buio di me. Che sia lungo duemila pagine o il rigo di un racconto, non sarà scritto per chi ama i libri, ma per chi ama la vita. I libri e la scrittura sono parte della vita ma non sono vita.
Preferisco una regressione ma una sincerità e un lavoro tremendamente profondo. Un lavoro divorato dal buio di una mia luce. Un lavoro al buio di me. Che sia lungo duemila pagine o il rigo di un racconto, non sarà scritto per chi ama i libri, ma per chi ama la vita. I libri e la scrittura sono parte della vita ma non sono vita.
Il mio cambiamento è la mia pasta, la mia imbarcazione, la mia canagliata più grande.
La mia migliore creatività è il mio analfabetismo di ritorno e di sola andata. Il mio viaggio solitario.
Il colpo di fionda che infrange un vetro. Lo spillo soffiato a dispetto sulla coscia appena scoperta della cassiera che mi sorride.
Adesso mi intrattengo più tempo sulle revisioni, anche dei giorni dopo che i fogli stampati sono stati corretti. Ho meno fiducia in me, ma anche più amore in quello che faccio.
Più mi amo e meno mi credo. Proprio così.
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