mercoledì 21 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte I)


Partirei da una mia riflessione personale, prima di addentarmi (non è un errore: volevo proprio scrivere addentarmi e non addentrarmi) sul senso della pubblicazione, con una domanda molto, molto semplice, che faccio a me stesso: perché io scrivo? Anche solo questo post. Esiste una finalità precisa? È solo un passatempo? O forse una profonda necessità di espressione, di espansione di un qualcosa che sale e che avverto irrompere dal mio interno e che andrebbe a tutti i costi condiviso prima che esploda e che mi sbalzi in aria con lui? O è un malinconico capriccio di presunta bravura, se non un pietoso arrampicarmi sugli specchi rotti di un linguaggio masticato da scrittori e da libri molto amati, che in qualche modo ho sognato di far rivivere attraverso l'impatto della mia unica mano, quasi a voler emozionare per quanto si è stati emozionati un tempo? A volte si è presi da qualcosa di profondo e di molto bello, che un'esperienza letteraria intensa può aver regalato, e non si ha il tempo di assorbirlo, di assimilarlo, che subito scatta una voce tagliente che dice: "voglio farlo anche io, così! Sento di esserne in grado!  Chi mi impedisce di provarci? Che cosa mi costa? In fondo che cosa avrei da perdere in un tentativo del genere, per quanto sia alta e grandiosa la posta in gioco, poi? E allora adesso mi incazzo e scrivo forte. Scrivo da duro, nella furia più nera, scrivo davvero di brutto, da far male. Sono convinto che se arriverò a creare tutto questo, allora sarà diversa la mia vita. Ma anche l'idea che avranno gli altri della mia vita, della mia storia e di tutto me stesso. Cambierà in meglio. Basterà poco, senza nemmeno uscire dalla mia camera, seduto, posso inventare e direzionare la mia vita per come davvero la vorrei. Diventare un imperatore. Sarò l'autista dell'autobus di lusso della mia esistenza e da ogni finestrino scorrerà una storia, che solo la mia vita ha generato e che diventerà indimenticabile per tutti i viaggiatori che si affideranno alla mia guida e al mio viaggio. E poi un giorno, nemmeno troppo lontano, essere visto, percepito, celebrato, amato, valutato per come ho sempre desiderato, attraverso l'atto sublime della mia scrittura! La mia vera essenza! E attraverso la mia capacità di emozionare e di avvincere chi incontrerà le mie parole, svelerò tutto il meglio di me, a dispetto di quello che è stato frainteso, sottovalutato o non ancora compreso o amato. Dirò finalmente di quello che sono e che valgo, a dispetto di quello che tutti ancora credono in relazione a chi io sia e a che cosa misera ancora io valga, per non averci provato sul serio, a scrivere, come si deve. Anche una sola frase, se appiccasse l'incendio in un solo animo, nella profondità di un solo cuore, nel modo e nel punto giusto, potrebbe creare intorno alla mia figura, – mi direi, ancora preso da questo delirio spaventoso – una certa aura di ammirazione, che potrebbe diventare soggiocamento, o semmai anche invidia, incanto,  desiderio di potere quello che io ho potuto, di realizzare quello che io ho realizzato, per esempio". Di certo, – potrei ancora immaginare e dire, ancora fuori di me, ma chi non ha mai pensato almeno un istante in questi termini –  che da quel momento non risulterei per niente più inutile e nemmeno indifferente agli occhi grigi degli altri, come mi sento invece di esserlo ora. Sarei una persona degna di rispetto e questo rispetto imparerei col tempo a pretenderlo come a proteggerlo. In breve potrei non farne più a meno di questo rispetto, e comincerei a sentirmi soffocare al solo pensiero che le mie parole non abbiano il dovuto rispetto e la precedenza assoluta su tutte le altre e che poi attraversino almeno per un minuto al giorno quell'animo trafitto e toccato, che una volta mi ha gratificato con un piccolo commentino, così esile da spezzarsi, ma riducendomi suo schiavo, in attesa spasmodica, fino a tarda sera, davanti al mio computer, che mi arrivi un suo timido segnale in cui mi venga detto: "Adesso puoi andare a riposare. Ti ho letto, ma ti sto ancora leggendo, fidati, amico scrittore. Tu adesso andrai a dormire e continuerai a vivere nei miei pensieri e nei miei occhi lontanissimi, attraverso la mia lettura che si perderà nella tua scrittura, e allora presto avverranno dei miracoli. Domattina l'aria sarà diversa, ma anche stanotte, ci saranno più stelle, per colpa delle tue parole finite nella mia vita...".
O ancora: "scrivo perché scrivendo utilizzo uno strumento raffinato e antichissimo, che mi inserisce in un flusso sterminato sfatto dallo scroscio di testimoni illustri, che hanno ottenuto dalle loro parole molto più amore dagli altri e insieme molto più potere. Molta fama,  moltissima meritata fortuna, altrettante comodità e quindi tutto quello che di più bello si potrebbe mai desiderare, anche il nome di una strada – quale scrittore al mondo non ha mai sognato che un giorno, alla sua morte, una delle strade della sua città possa prendere il suo nome d'arte, o anche il suo nome e cognome?  Potrebbe accadere, perché no?"
"O scrivo e scriverei, anche soltanto per abbattere il muro della noia, quindi per ammazzare il tempo, un tempo inconsolabile e grondante di tenebre, in una vita che diventa pesante e che a volte spezza il fiato; ma anche farlo con un intento più fisico e dimostrativo,  meno spirituale e idealistico: utilizzando la mia scrittura come un esercizio di forza o di abilità. Il mostrare il muscolo ben teso, alzando la maglietta, con un bel paragrafo, come tatuaggio di una frase decisa, a effetto, marchiata a fuoco sulla carne di chi la incontra!". 
E andando ancora avanti, instancabile: "scrivere, scrivere, scrivere... forse per compensare tanti altri fallimenti, proprio quelli che vorrei cancellare nella memoria degli altri. Quelli che vorrei non fossero mai esistiti: ne ho vergogna, ma che in qualche modo andrebbero soffocati per bene con qualcosa che li renda per sempre invisibili, qualcosa di accecante, come le parole. Le mie parole!".
Detta così, con questa teatralità, questa scorsa, in parte tragicomica – ma che avverto molto comune e possibile risuona molto vicina a un'ossessione, a una malattia. Una sorta di condizionamento e di schiavitù. Ma la scrittura è anche una profonda ossessione e una leggera schiavitù, per alcuni più di altri – in fondo un percorso creativo non è mai troppo lontano da una forma ossessiva e condizionante, che conduce spesso all'isolamento e all'autocelebrazione, un po' come tutte le eccessive passioni o forme particolari di invasamento. E volendo ancora affondare nelle supposizioni: "che cosa si nasconderà ancora dietro l'ossessione per le parole, per le mie sole parole, altrimenti? Il mio senso? Il sale della mia vita? Il suo carburante, o forse soltanto una delle tante passioni malate, che possono dannare un essere umano, in una certa fase della sua vita? Come potrebbe accadere con delle donne meravigliose, o con le corse dei cavalli, i titoli in borsa, l'allevamento sportivo dei canarini? Parole che partono da dove, poi? Da quale parte lontana di me? 
Potrebbero esserci risposte diverse,  per le rispettive domande o provocazioni con cui ho aperto questa mia riflessione, che avverto scomoda e complessa, ma a mio parere utile per fare ordine almeno dentro le mie idee, i miei impulsi e le mie vanità, in modo da poter parlare con meno peso e confusione
In fondo, e adesso ritorno in me, non ho certezze sulla mia scrittura. Intendo sul motivo per cui mi accosto e mi sprofondo nel demone dello scrivere, nella sua "maledizione". Mi è stato molto semplice giocare a domandare e mi sarà molto difficile impegnarmi a rispondere. Perché a queste domande potrebbe non esserci una risposta o anche tutte le risposte e le conferme alle risposte già insite nelle rispettive domande potrebbero lasciare tutto com'è, nella stessa nebbia o nello spettro di quell'attività ossessiva e condizionante,  quel qualcosa di storto e di un po' anomalo, da correggere al più presto, in qualsiasi modo. 
Intanto la scrittura è entrata a far parte nella mia vita ed è qualcosa con cui devo fare i conti. Al momento non posso allontanarla dalla mia esistenza. Non ho mai pensato di allontanarla dalla mia esistenza, ma pur volendolo ora come ora non mi sarebbe possibile. Sarebbe come tradirla e tradirmi. Abbassare le luci in tutte le stanze fino a rabbuiarle del tutto. Sarebbe come opacizzare di colpo il mio scenario e rimanere alla finestra, immobile e senza parole, travolto dallo stesso gelo di quell'assenza, senza fiato e senza sguardo.  Muto.
Credo che esistano nella vita di ciascuno alcuni aspetti, – aspetti che possono essere cose, attività, situazioni, condizioni, circostanze, persone senza i quali la vita si fermerebbe. Non nel senso che si morirebbe, ma che si vivrebbe lontani dalla propria personale inclinazione alla vita, in modo meno intenso, perché sprovvisto di quella chiave di magia. Ma in quel momento quella chiave è tutto quello che sento di dire e di essere, mentre lo dico. Anche in un solo istante posso scoprire una verità lontana, anche con una parola. Un solo segno che ha spezzato il buio della notte.
E quindi, rinunciando per un caso o per un azzardo a tutto questo, o al nulla di tutto questo, perderei quella tensione vitale adeguata delle mie emozioni e dei miei sentimenti, ma anche la possibilità di investigarli, attraverso il giogo e il gioco dei segni, nel loro mistero e nella loro insondabile profondità. La scrittura, nel mio caso, la sento qualcosa di  religioso, di molto vicino a un percorso interiore, senza spazi di azione predefiniti, ma solo con un ardore e un chiaro intento di raccogliermi  nel rituale sobrio e inutile del gesto. Anche nella sua improbabile efficacia, quel gesto in quel momento è il mio lineamento più puro, il mio valore, a volte la mia idea o la mia ferita di Dio: l'amore per la parola, per il suo infinito insondabile, per tutto quello che tace di me parlando e che dice di me tacendo. Per la pace e il dolore del suo mistero e per il grande senso di libertà che la scoperta di un linguaggio può apportare in un'esistenza e nel suo significato sotteso, forse mai pronunciato prima. Un vivere orfano di questi impulsi, che questo strumento così complesso potrebbe ancora offrirmi, sarebbe come vivere assenti della giustà intimità di vita che sento di comunicare agli altri.  Anche a una sola persona, o anche a me stesso. Andrebbe bene lo stesso, così.
Nella mia vita la scrittura fa parte di uno di questi elementi portanti e fondamentali della mia intimità, che assicurano tenuta e tensione alla mia accordatura, alla mia prospettiva armonica di sguardo, al mio tactusQuesta complessa combinazione di tensione vitale, emozioni, sentimenti, ideali e religione,  è qualcosa di molto problematico con cui convivere e fare i conti – come scrivevo prima – un insieme armonico composto di più orbite tonali, che in qualche modo va accudito. Nel modo che io ritenga giusto e sensato per farlo. È in fondo una sorta di responsabilità, ma anche di rispetto per qualcosa che vibra e che non va spento.
Chiudo qui il primo punto di questa mia introduzione, quello che avvertivo necessario, prima di riflettere su cosa significa oggi, nel 2016 per me pubblicare, in tutte le sue possibili forme, tenendo conto di questi presupposti che mi riguardano e mi attraversano personalmente. Imprescindibili da ogni sviluppo.
Questa prima parte si esaurisce qui.












2 commenti:

Eletta Senso ha detto...

Con la consueta sincronicità leggo la tua riflessione mentre anch'io rifletto sul medesimo tema. Perché io scrivo?
La tua estesa e trasparente stesura apre tutti i possibili e le relative motivazioni.
Per tutto questo e per nulla di questo. Per quale motivo un artista crea un'opera?
Che distanza c'è tra la scrittura per sè ( io scrivo sempre ) e la pubblicazione ( io scrivo anche per altri )?
Forse solo il desiderio di condivisione. Di un'eco che rimbalzi.

Per quanto mi riguarda quel che scrivo solo per me, spesso viene distrutto. Non lascia tracce. Dopo un po' si deteriora. Mi dà nausea.
Quel che scrivo per altri rimane. In genere rimane. Qualche volta ha un palpito anche se già vecchio, antico.

Due parole di commento buttate così. Come sempre velocemente e senza pensarci troppo. Per ringraziarti perché a me la tua scrittura piace, ha un senso, lascia tracce. In mezzo al frastuono dei forum sul tema, le tue riflessioni mi sembrano sincere esaustive complesse ( e non superficiali ).
Ciao

luigi ha detto...

Ciao e grazie, Eletta.
Interessante la destinazione, a cui fai cenno, che divide il tuo approccio e la soppravivenza delle tracce dei tuoi scritti. Certo che la distruzione di qualcosa di proprio abbia comunque il suo peso. In alcuni casi il suo valore, – anche in una scelta di negazione si nasconde un valore.
Distruggere uno scritto in diversi casi crea luce e ripristina una certa pulizia, ma mette dentro questa luce chi siamo e anche per quale motivo neghiamo quella testimonianza di noi e non un'altra.
Credo che si affrontano dei litorali molto profondi e misteriosi, investigando e domandando. Per fare ordine o anche per creare altro caos, e trovare nuovi stimoli per ricominciare a riordinare.
Condivido il frastuono.
Il percorso intanto continua.

Un abbraccio e in gamba!