Nel suo romanzo giovanile "Novembre, così Flaubert trasmette, in apertura, le timbriche profonde della stagione autunnale, quel suo filo pauroso, ritratto nei colori grevi dell'aria, nello smorzarsi della vita, ma anche nella dolcezza di questa morte, di questo fioco segreto che è vivo del suo solo morire. Dei tocchi molto suggestivi, che mi hanno davvero colpito nella penetrazione precisa del sentimento. Della luce sentimentale, che le sue parole sono riuscite a irradiare come sensazioni dai segni, dove il linguaggio diventa il liquore di ciò che descrive, e dove non sembra più di leggere, ma di scolorire con lo stesso paesaggio. Di ammalarsene, anche della sua crudele esattezza.
L'incipit di "Novembre":
"Amo l'autunno: questa triste stagione è adatta ai ricordi. Quando gli alberi non hanno più foglie, quando il cielo conserva ancora al crepuscolo il colore rosso che indora l'erba appassita, è dolce veder spegnersi tutto ciò che poco fa bruciava ancora in noi.
Sono appena rientrato da una passeggiata nei prati deserti, lungo le fredde rogge nelle quali si specchiano i salici; il vento faceva sibilare i loro rami nudi, a volte taceva, e poi improvvisamente ricominciava; allora le foglioline che rimangono attaccate ai cespugli tremavano di nuovo, l'erba fremeva piegandosi a terra, tutto sembrava diventare più pallido e più gelido; all'orizzonte il disco del sole si perdeva nel color bianco del cielo, e lo permeava tutto intorno d'un po' di vita che finisce. Avevo freddo e quasi paura".
Gustave Flaubert
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