mercoledì 8 febbraio 2012

Il mio primo corto. Passi del linguaggio. Il mio buio

Ho lavorato con strano stupore all'evoluzione di una mia prima sceneggiatura originale, estratta da un mio racconto, dal quale però si è discostata con una certa ostinata determinazione.
Durante la stesura ho vissuto due fasi molto precise e credo anche molto formative.
La prima: il getto dell'idea è nato per caso, da una serie di circostanze che se dovessi concentrarmi per ricombinarle o ricostruirle, rischierei davvero di impazzire — parlo del getto della sceneggiatura e non del racconto originale. Dunque, pura casualità, ma una volta caduto nel forno è difficile che mi tiri indietro. Ho gettato le prime scene sul modello americano, pieno di tensione. Quando scrivo non sono mai troppo teso. A volte molto vivo, molto assonnato o stordito, molto innamorato o sprezzante delle mie parole, imbambolato, armato o disarmato, ma in un certo modo mi sento libero, pur nella varietà delle sensazioni. Invece fin dalla prima scena del corto, che tra l'altro stavo strutturando senza leggere nemmeno un rigo del racconto originale, ero un fascio  di nervi. Lo rivisitavo a sprazzi di memoria, come se dovessi alternare i bagliori della situazione passata e narrata, con i nuovi istanti creativi. Ho proseguito con una certa fermezza e concluso un buon numero di scene, anche piuttosto dettagliate e funzionali — questo, forse, a dispetto dei molti o forse dei pochi, che insistono col definire il mio linguaggio immaginifico. Insomma l'impianto dovrebbe esserci, mi dicevo, ma mi accorgevo che tutto poteva essere al proprio posto, tranne la storia e la tensione che mi si era accumulata nelle braccia, come se fossi reduce da una battuta di pesca a strascico. Queste poche scene mi avevano davvero spaccato le ossa; eppure la letteratura e la finzione che cosa avrebbero di diverso, mi chiedevo? La storia intanto non c'era. Sembrava esserci, forse rimembrata dal mio racconto, ma non aveva braccia o gambe per sostenersi, perdeva acqua o forse sangue.
Quindi il buio. Il mio buio, e giusto sul finale a lavoro finito. Non all'inzio.
Seconda fase:
Stampavo il manoscritto, che avevo già predisposto in due versioni, con qualche variante ma con lo stesso numero di scene; la differenza è che solo in uno dei due i dialoghi erano giusto al centro del foglio, mentre nell'altro seguivano la stesura naturale che utilizzo di solito per la short story. Ogni tanto lo rileggevo, controllavo le scene che sembravano più riuscite e più funzionali, cercavo di consolarmi, pensando che la storia in fondo aveva un suo buon suono, o forse era una mia sensazione, ma ritornava puntuale quella tensione di prima che mi stringeva e mi diceva di lasciare perdere. Avevo già mollato mentre lo decidevo.
Questo fino a ieri mattina, quando reimpostavo daccapo la scena numero 5. La reinventavo, senza alcun riferimento, da zero. E da quel momento la struttura era stravolta ma realizzata, almeno nel suo embrione. Dalla scena 5 ex novo, anche le successive hanno ritrovato il loro assetto, e adesso ancora le sto rifinendo, così come qualcuna delle precedenti, anche se le prime erano comunque le più forti e stabili. La storia esisteva! Adesso la vedevo, per ogni luce, per ogni ombra, per ogni suono. È stata la sensazione fulminea di un istante, quando forse ero quasi deciso a mollare il file o comunque a lasciarlo ammuffire in qualche cartella di revisioni, o meglio: testi nuovi, su cui lavorare quando avrei avuto più tempo. Invece quella scena mi ha tirato per un braccio e mi ha riportato a riva, o forse al largo, a volte è lo stesso.
Credo che quest'esperienza mi abbia riconnesso a una serie di dinamiche molto intime che riguardano la mia vita più che la mia scrittura, e mi abbia fatto scoprire, anche con una certa commozione, quanto vi sia di possibile e di sperimentabile in un'esperienza del genere, quando si ricerca qualcosa di perduto attraverso questa sfida sottile, questo continuo altalenarsi di tensioni, di ritorsioni ma anche di concessioni, come se accanto a me ci fosse una persona umana. Qualsiasi cosa si scriva, conta molto il contatto e la sintonia con il proprio territorio di espressività, e mai con quello, anche più giusto, di qualcun altro.
Amo questo piccolo lavoro sceneggiato di fresco, di un amore molto intimo e poco definibile, che raramente ho provato così forte. Qualsiasi sarà il suo valore o il suo destino, nessuna cosa al mondo potrà cancellare il batticuore di questa mia piccola avventura.
Un invito a chiunque ami la scrittura: lo faccia al buio e al proprio interno, senza moventi. Quello che potrebbe avvenire dopo o che non potrebbe avvenire, sarà solo il superfluo, il dimenticabile. Non certo il cuore di quello che gli è successo.
Questa mattina, per festeggiare, mi sono regalato uno splendido romanzo di Stefan Zweig: "Lettera di una sconosciuta".
Buona serata e buona scrittura.

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