Un romanzo, quando è grande per la sua intensità, quando si nutre di una storia particolare, diventa parte dell'aria di chi lo ha letto e credo anche di chi non l'ha letto. Un romanzo rimarrà nell'aria e nel cuore per le sue luci e per i suoi suoni, quasi mai per la giustezza o per la perfezione delle sue parole. Così mi capita di scoprire uno scrittore da un regista: parlo di Stefan Zweig e il suo "Lettera di una sconosciuta", rielaborato in maniera mirabile da Max Ophüls. Da ieri sera, dopo aver visto il film tratto dal romanzo non ancora letto, rimango in uno stadio di abbandono, di rapimento e di sospensioni, che non mi lasciano ancora, e che mi tengono ancora ben stretto a tutto il patrimonio evocativo della storia, al magico della sua sospensione sognante e dolorosa, alle espressioni e ai respiri, alla complessità di una dimensione che ho avvertito subito intrinseca e così vicina alla mia sensibilità percettiva, a quella certa malinconia di vita che mi sento dentro, senza averlo deciso e nemmeno saputo.
La scelta di creare un film del genere da tale romanzo, mi porterà ad esplorare l'universo dello scrittore austriaco, partendo da quest'opera ma cercando di agganciare altri vagoni. Ho tracciato solo da questi sensori il mio gusto è quello che rappresentano i tasselli della mia formazione: dal rapimento. Ogni forma di riscatto una nuova clausura, con nuovi orizzonti, segreti. È davvero così complesso il mondo di chi legge la vita attraverso i libri e le loro inesauribili risonanze, che manterrà le stesse incognite di chi crea. A volte tra il leggere e lo scrivere, quando ci si pone nel giusto spirito, non avverto alcuna sostanziale differenza (è invece avvertibile in chi sia ossessionato solo dalla propria scrittura, senza interessarsi mai a quella degli altri, se non per criticarla e scoraggiarla).
L'espressione di qualsiasi forma d'arte, comincia a pesarsi nella parte della vita che non le appartiene. La sua vibrazione sarà la sua essenza nell'assenza, mai la sua grammatica o la sua anatomia nelle sue zone sezionabili e troppo chiare. Che si parli di un racconto, di un romanzo, di un'opera di cinema, di musica, di teatro, di poesia, credo che la risonanza sia l'unico fattore d'ingresso, che mi consentirà di entrare nell'alveo dei meriti, del gusto, della buona o cattiva tecnica, dei demeriti. Avrò spazio per ragionarci quando avrò sfamato il mio cuore e avrò tremato fino allo svenimento. Io la penso così. Non credo nel tiepido. Le strette di mano, le amicizie, le stesse pietanze, lasciano un pallore intorno che sa di digiuno. I libri devono assassinarmi, come è accaduto con questo film. Sono un luogo di pratica, di scambio, di luci basse e di vita. Non un reperto. Mi auguro non lo diventino mai, in nessun formato e in nessuna circostanza della mia vita.
0 commenti:
Posta un commento