Mi ritrovo a riflettere spesso sul tipo di attività di pensiero che interessa il processo della scrittura, o per essere più precisi della mia scrittura. Sono convinto che ritorni una questione di intimità, relativa a sfumature, a piccoli dettagli che non consentono una generalizzazione spicciola, per nostra fortuna.
Il pensiero di quando scrivo sarà lo stesso di quando imbuco una lettera e distinguo il giusto scivolo di destinazione? Di quando controllo il resto in cartoleria, di quando cammino o di quando guardo un palazzo rosso? Avrà lo stesso flutter vitale, o la stessa impugnatura di controllo sulla realtà che vivo e che addento?
L'attività creativa, spesso, mi pensa, e mi fa oggetto di un pensiero esterno o nascosto alla coscienza e consapevolezza di quel momento. Me ne accorgo sempre dopo diverso tempo, ritornando su di una storia, un testo, una bozza, e scorgendo linee d'ombra che non avevo scorto prima, alla distanza breve dal primo getto; ma non legate solo alla forma, o al particolare suono di quel linguaggio, ma alle trame oscure del tema madre o radice ispirata (cospirata) che mi avrebbe spinto a cominciare e a continuare in un certo modo, in un compromesso tra pulsione e freno, ma comunque sottomettendo tutte le mie scelte successive al dominio di un fantasma, che dirigerà l'orchestrazione della storia, senza bacchetta ma con un condizionamento costante e spesso invasivo, quanto però vitale e nutriente all'equilibrio funzionale dell'intero impianto.
Il pensiero rimarrebbe quindi un misto aromatico di coscienza e di controllo, dissolto e risolto nella sfera preconcettuale e più oscura, che è quella dove molte volte si impone il tempo, si assestano o si accelerano certi passi, si accentuano alcune tensioni, si scandiscono incipit, si infiammano climax, finali, si delineano le sorti dei personaggi, la loro maschera, i loro impulsi primigeni. Per questa stessa signoria, oscura ma ancora vitale, che darebbe senso, anche nelle sue dissonanze, alla lampada magica dell'intero processo.
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