Ho trascorso quest'estate con due testi poetici di sfondo:
I Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli, e Tutte le poesie di Alfonso Gatto. A una certa distanza è mia abitudine ritornare su alcune letture e provare che cosa succede con il passaggio del tempo. Alcune diventano più chiare, altre più complesse, ciascuna un suo mutamento intrinseco che si accompagna a quello mio, che si muove in parallelo. Così viene da pensare se la poesia sia il treno che sta partendo, e io invece rimango fermo nel mio, in attesa; o se al contrario è il mio treno che parte e la poesia invece è nel treno che sta fermo. O se invece partiamo entrambi, nello stesso istante del fischio.
Adesso un testo di Alfonso Gatto, tratto da Poesie d'amore (1941-1949):
Vedemmo l'alba:
Vedemmo l'alba sorgere dal capo
nero di Palinuro, sabbia rosa
d'argento inumidita dai piovaschi
di quella dolce notte. Il giorno aveva
un alone di polvere raggiante
ai nostri passi.
Il sapore del verde nei tuoi denti,
l'ulivo, il dolce miele, la capretta
della tua lingua vivida di rosa.
Era del lungo esistere, da sempre,
la luce immediata che deflagra
nella zuffa ridente: dirittura
– a correrla d'un grido – l'avvenenza.
Alfonso Gatto
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