L'azzurro della notte (appunti di taccuino):
Il grande disagio che mi prende nella fase di ripristino di alcune storie o di lavori ancora sospesi, è dato in primo luogo dalla nostalgia della dimensione emotiva in cui li ho tenuti per diverso tempo in premurosa gestazione; fattore pluridimensionale, in questo caso specifico, che lascia una scia molto forte anche a certe distanze, qualsiasi dimensione rappresenti il movente padre di ritorno e di intervento su quel luogo, in questo caso sarebbe corretto dire su quella luce di luogo o vago topos luminoso dove il lavoro nasce e poi affonda, come sott'acqua. In effetti con "L'azzurro della notte", ho rotto, senza deciderlo e senza saperlo ancora mentre lo facevo, alcuni freni inibitori della mia sensibilità e percezione del reale e del sussurro emotivo di quel preciso momento, gestendo e tradendo nell'azzurro (ossimoro se cielo notturno) del cielo, la modalità febbrile e incestuosa di una massa marina dai toni mobili e creaturali, riversata dagli ambienti aperti ai movimenti oscuri e sfumati di tutti i personaggi nel ghetto e nell'oltreghetto.
Non esiste più un cielo che grava ma un cielo in cui si affonda come in un cuscino (uno specchio viscoso e vertiginoso, come alcuni riflessi dei visi o dei tetti, risucchiati dai bicchieri della cristalliera o dalle folate di musica lirica dalla radio). Questo tipo di rottura e di frizione, non è stata compiuta con un atto preciso di volontà, ma con lo stesso gesto nervoso e tragico del personaggio protagonista maschile, lungo i primi inserti dalla sua cupa e pittorica apparizione — l'inizio del racconto, così come gli inserti successivi, sono forzati in una dimensione sempre meno fisica e sempre più ondulatoria e onirica, come avviene con una rifrazione o una traslucenza notturna (questo è stato l'aspetto più complesso e rischioso di tutta l'elaborazione della storia, che risulta letteralmente bagnata da questo tipo di sguardo sulle cose e che ne costituirà il pregio e il fianco aperto e ferito dove bere).
In attesa che si profili un certo destino a questo particolare lavoro, comincio a tirare le redini a quelli che sono stati gli aspetti determinanti che scopro e che riconosco a una certa distanza, durante le ultime operazioni di ripristino e di intervento. Due gli elementi più forti: la luce, come parte strutturale e portante, e la dimensione temporale e prospettica del pdv, con tutte le varianti che si sono succedute a ruota nell'impianto, confondendo e avvolgendo il narrato al sognato e al non vissuto. Come primo passo di ripristino, nell'attesa di una direzione sicura o di un luogo certo di destinazione, mi piace ancora ricordare un omaggio fotografico al romanzo, che durante le primissime bozze, un'amica fotografa e sensibilissima, Daniela Fariello, mi aveva suggerito come possibilità investigante sulle regioni di luce che avvertivo e che avevo già creato; e in questo scatto esiste il nucleo di luce notturna, quanto meno è la più vicina alla mia idea, di quella elaborata al buio e non pensata, che mi ha molto incuriosito, come nuovo ultimo topos di confronto.
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