Nelle comuni definizioni ornitologiche, l'uovo non aggallato, non fecondato, si dice chiaro. Quando al contrario l'esito del coito tra volatili è stato positivo, l'uovo potrà definirsi scuro, o anche pieno. Gli occhi più esperti riescono a riconoscere al solo contatto e dal suo peso, se l'uovo dell'uccello è stato aggallato o meno. In diversi casi, il buon allevatore esperto, lo prende tra due dita e lo pone sopra un lume, o verso il chiaro della luce solare, per scorgervi all'interno, di solito oltre un certo periodo di tempo dalla sua deposizione. In base a quello che vi scorgerà, in controluce, potrà confermare se al suo interno vi sia vita, vuoto o interruzione dello sviluppo embrionale, con i caratteristici filamenti embrionali scapigliati nel sangue. Tutto da un gioco tragico e indiziale, di luce o di opalescenze, più o meno rassicuranti. La cova e la febbre dell'uccello o della balia, potranno assicurare sviluppo alle uova piene, con embrione vivo. Non potranno dare vita a uova chiare, non aggallate o con una struttura in formazione ormai interrotta.
Perché questo strano preambolo, in un blog che tratta di scrittura, poesia e generi affini?
Perché io mi pongo nello stesso modo con i miei scritti, di qualsiasi natura essi siano, di qualsiasi periodo della mia vita. Esisteranno così scritti chiari e scritti scuri. Prima non ne ero così convinto, ma sono sicuro che fin dalla prima bozza, debba comparire quell'embrione, sanguinante di vita, caparbio e incazzato nero di nascere e di crescere, a dispetto del mondo intero e del suo stesso scrittore, che darà senso al calore e alla temperatura di chi scrive, alla sua fatica, alla sua sollecita attenzione.
In caso contrario, vi saranno bozze o storie senza vita, che anche se perfezionate, incubate o covate, con la massima premura, e attenzione, anche con un amore maniacale e appassionato, non potranno invertire il loro stato, così come un uovo davvero chiaro, non potrà diventare mai pieno, ma solo scuro della sua stessa decomposizione – i più esperti, sanno anche distinguere tra i due neri, quello funebre e quello della vita, che si annuvola nel guscio quando erompe.
Questa divisione tragica, l'ho scoperta per caso, camminando per strada e pensandoci sopra, così come mi succede quando creo storie o possibili situazioni narrative – mai forzate o faticate al loro apparire. Sono state sempre loro a bussare, non tutte con la stessa educazione e non tutte pulendosi le suole, sul tappetino, nei giorni fitti di pioggia. E mi auguro ancora, per non perdere il filo, di essere sempre sensibile come un allevatore di uccelli, al peso o all'occhio nella luce delle opalescenze delle uova, come anche in natura, spesso avviene. Non disperdere il calore su materiale cattivo o sterile. A volte basta riconoscere che l'impianto è ammalato, e rimediare per tempo, rivolgendo l'attenzione verso altro. Questo tipo di consapevolezza e sensibilità, andrebbe accorpata anche e direttamente allo scrittore, e non solo alle sue storie. Se le uova di un uccello saranno sempre chiare, ci sarà qualcosa che non va a monte, così come se troppe storie non cantano e non vivono, potrebbe esserci un problema di fondo. Esisteranno allo stesso modo, secondo un mio modesto parere, scrittori chiari e scrittori scuri, o pieni. Tutto qui. Un tipo di approccio del genere, eviterebbe molto dolore, sia ai lettori che agli scrittori. A volte basta un niente. Gli uccelli lo sanno bene, compreso il cuculo...
Credo che nel paradosso di questo post, potrebbe esserci qualche spiraglio di vero, o anche di pura follia, che in ogni modo andava condiviso. Doveva in qualche modo erompere.
Una splendida serata,
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