Il rapporto con quello che si scrive, si basa, molto spesso, sulla possibilità di creare opportunità di memoria, di ricordi, in chi legge. Ma non di ricordi legati a quello che si ricorderà di quelle precise parole, ma invece legati a tutto quello che quelle parole potrebbero rievocare e che non si vede, o che non sarebbe riaffiorato in quel certo modo con due persone appena diverse che leggono, ma che spesso non ha nulla a che vedere con la natura e con l'intenzione primaria che avrebbe consentito a quelle parole di vivere o di smuoversi in un certo livello di tempo o di realtà. Rievocare quindi una certa dimensione personale, di un certo vissuto, o anche di possibile ricordo di vita reale o immaginata. Credo che se non avviene questa condizione particolare... insomma, che dire? Si può continuare, certo, ma.
Non è tutto un affare cosciente e troppo consapevole, la buona e anche la grande scrittura. A volte si basa su tutt'altro! Su qualcosa che va oltre...e che cambia per ogni scrittore e per ogni razza di lettore inciampato o incavigliato in qualche bel paragrafo. Qualcosa di preconcettuale.
Non è tutto un affare cosciente e troppo consapevole, la buona e anche la grande scrittura. A volte si basa su tutt'altro! Su qualcosa che va oltre...e che cambia per ogni scrittore e per ogni razza di lettore inciampato o incavigliato in qualche bel paragrafo. Qualcosa di preconcettuale.
Potrebbe esserci anche un solo lettore al mondo che vede, attraverso queste parole, cose che non ho ancora visto, e che potrei non vedere mai, se qualcuno non me le mostra. È quello che in fondo dovrebbe fare un vero scrittore, in sostanza. Partecipare attivamente a un meccanismo naturale e involontario di rievocazioni e risonanze, memorie, incubi, sobbalzi, atterraggi, stravaganze, senza averlo necessariamente costruito troppo coscientemente, e forse non proprio quel punto così più efficace, rispetto agli altri, al quale potrebbe non aver dato peso. E senza che un solo rigo letto sia solo tollerato – quante volte mi è capitato di leggere tollerando. Adesso leggo, e scrivo, in ebollizione, e con molta lentezza, come l'acqua nella pentola, altrimenti faccio altro, davvero!
Il grosso problema è che si possono imparare mille sistemi e stratagemmi per gestire, organizzare, ed ottimizzare al meglio le forme di un certo linguaggio, i parametri di una certa intellegibilità del proprio testo, la sua fluidità, le sue dinamiche, i suoi climax o anticlimax, la sua correttezza, ma non è mai possibile prevedere quanto possa diventare vivo e dinamico in un'altra vita che lo incontra, e che spesso non ha idea di quello che sia una struttura e cerca solo di saltare in aria in qualche modo, come quando è sorpreso da un amico, da un bel viso, da un bel culo, da una telefonata nella notte o da una fioccata improvvisa, che scorre da una finestra, al buio.
Quanto, chi scrive, possa scomparire in un altro, nella stessa possibile o inattuabile esplosione/immersione?
E credo che il grande fascino e la grande scommessa, sta proprio nella possibilità che quest'incontro potrebbe non avvenire mai, anche con tutte le carte in regola, le scarpe ben allacciate e i quadernetti dei compiti foderati e senza orecchiette. O forse avvenire per pochi istanti, senza che lo scrittore se ne accorga o lo sappia mai, o anche per sempre.
Ma avrebbe lo stesso un senso, in ogni caso. Misterioso e di ritorno.
Lo credo e lo vivo. A volte, (s)considerando:...che per scrivere si deve essere inzuppati di vita. E poi tutto il resto, volentieri.
0 commenti:
Posta un commento