Un qualsiasi lavoro intellettuale, mi pone di fronte a fasi critiche, come a lunghe spianate di pura beatitudine. L'una non escluderà l'altra, spesso entrambe godibili, allo stesso modo. Lavorando sui romanzi, lo scrittore può incontrare diverse sfumature, dalla fase più ombrosa e paralizzante, alle grandi schiarite di un'intuizione. Dal bunker alla prateria, incluse tutte le possibili variabili intermedie o anche più estreme, se esistono.
Nel mio caso, non credo di poter più dimenticare l'esperienza di questa mia ultima revisione, per un lavoro di circa un anno fa, arrivato al suo capolinea, Per stasera, infatti, dovrei chiudere l'ultima scorsa delle minuzie, con evidenziatore: la fase biologica, quella del microscopio elettronico – tutto sempre su carta stampata, naturalmente, e con evidenziatore e penna bic; il primo per richiami topografici, la seconda per note e piccoli appunti, o maledizioni.
Credo, per la prima volta, di avere effettuato dei tagli precisi e soprattutto devastanti al mio romanzo, ma questo dopo una serie molto approfondita di riletture ostinate, senza penna alla mano – di solito quando leggo un mio testo in bozza e quindi da "armato", non riesco a leggere soltanto, ma devo intervenirvi in qualche modo, anche solo per una virgola. È difficile che resista e non sporchi la pagina. Anche se il testo è già in stampa. Anche se quella bozza è la ventesima. Anche se tutto funziona, ci sarà sempre una parte di me, di solito ben distinta e organizzata, in altri casi banditesca e selvatica, che dovrà lasciare la sua traccia ed espletare lo spasmo e la costante insoddisfazione che costella il lavoro di qualsiasi scrittore, in ogni fase del viaggio. L'importante è sentirsi insoddisfatti mentre si lavora, e non quando il lavoro è ormai finito. Se non sono soddisfatto a pieno, quel lavoro non sarà mai finito e non vivrà in nessun altro luogo al di fuori del mio Mac.
Il pericolo più grande, spesso dettato dall'inesperienza ma anche da una certa arroganza, è quello di illudersi prima del tempo di quanto sia perfetto e soddisfacente il proprio testo, senza darsi il tempo di rientarvi e uscirvi più volte, come da una nuova casa: lo stato dei tramezzi, l'umidità, l'esposizione, avranno bisogno di occhi attenti e non solo di sensazioni; di ore differenti per osservare la luce nelle stanze, i rumori dei vicini, quanto disti la quercia selvatica ammalata dalla piccola finestra della mia stanza e quanti tralicci teschiati dell'elettrcità vi saranno mai in agguato.
Il pericolo più grande, spesso dettato dall'inesperienza ma anche da una certa arroganza, è quello di illudersi prima del tempo di quanto sia perfetto e soddisfacente il proprio testo, senza darsi il tempo di rientarvi e uscirvi più volte, come da una nuova casa: lo stato dei tramezzi, l'umidità, l'esposizione, avranno bisogno di occhi attenti e non solo di sensazioni; di ore differenti per osservare la luce nelle stanze, i rumori dei vicini, quanto disti la quercia selvatica ammalata dalla piccola finestra della mia stanza e quanti tralicci teschiati dell'elettrcità vi saranno mai in agguato.
In questa mia revisione, ritornando alle riletture da disarmato o in borghese, ho notato quanto di tutto quello che credevo bello, efficiente, originale, offuscava e impediva, invece, la scorrevolezza, l'intensità, la radiosità di un passaggio, e quindi anche di un intero testo – sono convinto che in una struttura di romanzo, breve o più o meno lungo che sia, nessuna parte è mai del tutto indipendente dalla logica e dal risultato armonico dell'insieme. Ogni piccolo elemento spostato, verificato, sezionato, andrà a incidere fino a quello di cento pagine prima o dopo, anche se all'apparenza le zone più distanti dovrebbero essere meno influenzabili e intaccate. E invece, dopo aver distrutto un capitolo e averlo quasi ricostruito da zero, dalle sue poche macerie, mi sono accorto che anche le parti più lontane, si muovevano e risuonavano di un'aria diversa, come se fossero state liberate dall'impedimento che murava l'organismo, come da una stenosi. In effetti questo potrebbe saperlo solo chi scrive, chi conosceva i punti prima e dopo l'eventuale mutilazione. Invece io sono convinto che un qualsiasi buon lavoro letterario, rifletterà in sé, nella sua ultima stesura, tutto l'impulso energetico di quello che ci è stato; sacrificato, sezionato, vissuto, sofferto, celebrato, senza il quale non si sarebbe arrivati a quel certo delicato equilibrio che dovrebbe garantisi in una storia finita, alla quale si deve dire un addio, doloroso o liberatorio, non importa – nel mio caso coesistono bene in salute le due condizioni, di perdita e di conquista. Credo che tra i regali più belli che ci possa regalare l'attività dello scrivere, vi sia proprio il mistero di tutto il percorso, e di quanto possa essere sorprendente la rapidità con cui si cambia e ci si scopre diversi da come si immaginava. Davanti alle nostre stesse, povere, semplici parole, una prova del nostro mutamento, costante. E in una revisione, tutto questo accade e riaccadrà all'infinito, con la stessa potenza e impulso amorevole del primo getto creativo.
Saluti e buon fine settimana,
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