domenica 16 ottobre 2011

Taccuino

Sono convinto che nell'impulso di scrittura e in successione in quello più descrittivo, si giochi una sfida con l'inesprimibile o l'inespresso. Con quello che potrebbe giacere per lungo tempo senza voce, ma che in qualche modo va smosso, anche di poco, dal suo processo di stasi con un esercizio costante, a volte svelto e radioso, altre volte cupo e logorante. Tutto il non detto, e il non scritto o il non ancora scritto, risentirebbe di questa frustrazione, così quanto il detto, lo scritto e il già scritto.
Quando questa frustrazione diventa invece altro, si intrattiene e si diverte con altri spasmi o pulsioni, allora si starà cominciando un altro passo, forse più pulito, e l'inespresso diviene così importante quanto o di più di quello che si esprime, da essere desiderato sempre più oscuro, in modo da rafforzare tutto l'impianto e tutti i passi e i passaggi che si affineranno per proteggerlo del loro stesso chiaro.
Una matrice e non un handicap. Mi esprimo, in questo caso, solo se sopprimo qualcosa, e in questa soppressione avviene una certa fecondazione o risonanza di espresso dal soppresso.
Solo con qualcosa di inespresso, si potrà garantire autenticità a quello che si pensa e che qualche volta si scrive e si esprime. Nello sforzo e nel contrasto degli opposti, forse si crea. Dall'oscuro ci si imprime.

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