Ieri mattina percorro in auto circa una ventina di chilometri, per alcune commissioni fuori città.
Mentre accendo l'auto, frugo all'interno, prendo la radio e qualche vecchio nastro ancora parcheggiato come reperto, schiacciato dai documenti e da un' infinità di cianfrusaglie inutili.
Mi curvo e lancio uno sguardo tra le poche cassette rimaste: erano residui di vecchie registrazioni fatte dal canale della filodiffusione, che quando lo seguivo trasmetteva senza interruzione musica classica di grandissima qualità, con interpretazioni rare e storiche.
Una di queste l'avevo registrata tempo addietro, dimenticandola in auto, come un pacchetto di fazzolettini; e invece era un gioiello purissimo: l'interpretazione del violoncellista Navarra del concerto di Elgar, senza un attimo di respiro. Ogni tempo una dimensione fiabesca di intensità, sorretta da una cavata profonda, sofferta, smisurata di paesaggi romantici che tracciava il pensiero musicale come un solco di fuoco, un temporale.
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L'ho ascoltato tutto e mi andava di parlarne a qualcuno, a tutti i costi.
Mentre il violoncello suonava ed entrava sempre più a fondo nella tessitura orchestrale, nella geometria dei temi, delle armonie, pensavo a tante cose, a cosa sia l'espressività pura, a quanto costa darsi per arrivare in fondo e comunicare senza filtri, senza gabbie.
Poi sono arrivato a destinazione, a concerto appena finito, a tempo con l'ultima battuta.
Ho parcheggiato e sono sceso. C'era un sole bellissimo quella mattina, sicuramente diverso...
l.s.
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