La scrittura di Thomas Mann è stata una scoperta lenta e profonda, che pare essermi accaduta per caso. Fin da bambino sentivo nominare da mio padre il nome di questo misterioso"poema sulla morte", come uno dei più bei libri mai stati scritti. Sarà forse per questo motivo che lo tenevo sempre ben in vista ma a distanza, nel suo ripiano della libreria. Ma per anni non mi sono mai accostato nemmeno per leggervi una frase a caso, per toccarne il dorso, o sfogliarne per curiosità qualche pagina.
Avevo paura, paura di esserne deluso o forse travolto per quella sua bellezza dolorosa, annunciata.
Ho preso d'istinto il vecchio volume verde, edizione "dall'Oglio" del 1945 della Montagna incantata un mattino presto di qualche anno fa, quando fuori era ancora grigio e il silenzio mi consentiva di entrare nelle pagine fresche di quei paesaggi scolpiti negli azzurri ventilati dei cieli montani del sanatorio, come in un regno immaginario e incantato ma stranamente vicino al mio stato d'animo di quel momento. Quando ripenso a quel libro, al desiderio di riprenderlo e rileggerlo di nuovo, mi ritornano le luci esatte di quel mattino, la stanza dove ho aperto il volume per la prima volta, la mia esatta posizione sul divano, con il mio stato d'animo immerso e disteso nelle stesse luci appannate, nella musicalità cristallina delle parole e dei tempi, dove la scrittura si rianima e diventa limpida e nitida come la vista di uno squarcio montano da una grande vetrata.
Stasera in libreria ho confrontato le edizioni attualmente in commercio con quella in mio possesso: nella traduzione di Giacchetti, la parola immagine è scritta sempre con una sola m:imagine, imaginazione, catturando la lettura in uno strano gioco di riflessi sonori che si armonizzano con tutto lo sviluppo e il respiro ampio e drammatico dell'impianto narrativo. Ho sempre pensato di andare a confrontare la traduzione di altre edizioni, ma tutte le volte che ho preso a sfogliare il volume, il termine ricercato mi è sempre sfuggito.
Mi apparirà un giorno, quando non lo cercherò, e forse in quello stesso incanto.
l.s.
Avevo paura, paura di esserne deluso o forse travolto per quella sua bellezza dolorosa, annunciata.
Ho preso d'istinto il vecchio volume verde, edizione "dall'Oglio" del 1945 della Montagna incantata un mattino presto di qualche anno fa, quando fuori era ancora grigio e il silenzio mi consentiva di entrare nelle pagine fresche di quei paesaggi scolpiti negli azzurri ventilati dei cieli montani del sanatorio, come in un regno immaginario e incantato ma stranamente vicino al mio stato d'animo di quel momento. Quando ripenso a quel libro, al desiderio di riprenderlo e rileggerlo di nuovo, mi ritornano le luci esatte di quel mattino, la stanza dove ho aperto il volume per la prima volta, la mia esatta posizione sul divano, con il mio stato d'animo immerso e disteso nelle stesse luci appannate, nella musicalità cristallina delle parole e dei tempi, dove la scrittura si rianima e diventa limpida e nitida come la vista di uno squarcio montano da una grande vetrata.
Stasera in libreria ho confrontato le edizioni attualmente in commercio con quella in mio possesso: nella traduzione di Giacchetti, la parola immagine è scritta sempre con una sola m:imagine, imaginazione, catturando la lettura in uno strano gioco di riflessi sonori che si armonizzano con tutto lo sviluppo e il respiro ampio e drammatico dell'impianto narrativo. Ho sempre pensato di andare a confrontare la traduzione di altre edizioni, ma tutte le volte che ho preso a sfogliare il volume, il termine ricercato mi è sempre sfuggito.
Mi apparirà un giorno, quando non lo cercherò, e forse in quello stesso incanto.
l.s.
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