Il materiale della scrittura è vivo, almeno nel mio caso. Come una ferita su di un braccio, il fragola della voglia sulla mia spalla destra, il polso tutto storto quando impugno la penna, mai più corretto (la mia grafia è orrenda).
Così come nel post precedente, avverto che in ogni movente più o meno creativo, si affina un dolore molto reale e profondo, una sorta di stretta che mi destabilizza e mi condanna a fare qualcosa per smuoverla. Senza scampo o altra scelta.
Credo di essere condannato a questo rapporto scrittura/dolore. Vorrei davvero non esserne capace, essere lasciato in pace e ritornare libero da questa prigione azzurra. Eppure, proprio adesso, dopo che ho più o meno programmato sviluppi su testi, ecco che comincia a bruciarmi qualcosa, avverto che è una storia o un testo che arriva. Come una pugnalata dall'interno. Invece di essere pugnalato dall'esterno, avverto un coltello che graffia e straccia dal di dentro.
Che cosa significa tutto questo? Il teatro di un conflitto senza senso con la mia vita.
La mia paura, di sentire troppo.
Anche negli altri, so e mi accorgo di certe cose, ma non sempre le dico. Così le scrivo, le trapianto in un mio mondo parallelo e le patisco.
Prima di pranzo correggevo uno scritto e sentivo l'angoscia che premeva. La stessa anche adesso, che sale alla gola.
Poi quando scrivo molto mi distraggo, qualcosa prende forma e mi placa, avanti il prossimo e si ricomincia.
Non so. Non so che cosa vorrebbe significare dire un: basta. Chiudere tutto. Non entrare più nel gioco del gesto. Eliminare le occasioni per poter buttare giù anche un solo rigo. Eliminare i programmi, ma anche i fogli, i quaderni, le penne colorate, le matite. Uscire all'aria aperta, o comunque interrompere il flusso, il contatto tra sensazione e reazione. La creatività deve avere un prezzo del genere? E nel caso non scrivessi, quelle sensazioni che fine mai farebbero, una volta trovato tutto chiuso?
Spegnere le luci, non farsi trovare, lasciare la mia vita al buio da questa pulsione oscura che a volte mi fa scintillare, in altre colare a picco. E mi fa più solo.
Spegnere le luci, non farsi trovare, lasciare la mia vita al buio da questa pulsione oscura che a volte mi fa scintillare, in altre colare a picco. E mi fa più solo.
Ma poi mi accorgo che evitare di interrompere questa strana frequentazione con questo stormo di ombre, che ancora adesso bussano e mi maltrattano, significa intensificare ancora di più l'amore per la mia vita e per questo strano dolore, che ne fa parte e che va protetto. In ogni caso.
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