L'essere personali non è sempre un indizio di originalità. Così come in diversi contesti l'essere originali potrebbe essere molto lontano dall'essere personali.
Per chi sia interessato a scrivere, per esempio, quante volte, anche in vesti diverse, questi due demoni si saranno presentati, l'uno accanto all'altro, l'uno sull'altro o nell'altro, come entità disturbanti ma suadenti e spesso ingegnose per favorire la ricerca di una propria voce.
Io penso:
perché si deve leggere tutto in termini di proprietà? La propria voce vuol dire la mia, che cerco di rendere mia solo nel suo distacco da una diversa e quindi, dentro di me, più originale della tua. Perché molto spesso, quando si è molto in sintonia con un certo delirio di onnipotenza, si pensa che il proprio suono, la propria voce, costruisca il proprio valore su quella certa singolarità, o personalità e originalità di sorta. Una sorta di marchio di qualità, in diversi casi avvertito dentro come fame, sete, spesso arriva come un colpo di sonno, così scrivo per distanziarmi su qualcuno o su tutto il resto che mi supera in qualcos'altro.
Non sono così veloce quanto te, ma io scrivo e allora ti distruggo. Le mie parole saranno testate per un uomo più bello di me, che potrebbe sottrarmi mia moglie, guardarle le sue belle gambe e farla barcollare, arrossire o ridere troppo, e io allora ti scrivo dentro, come un pugnale, e uccido la tua bellezza o anche il mio limite. O per qualcuno più simpatico, più radioso e meno timido di me, che può ingoiarsi in una sola sera tutti i miei amici: io però scrivo. Tu sei più alto di me, ma non scrivi come me. E spesso ogni paragrafo diventa un accesso all'insondabile e alla necessità di farsi spazio con il gomito nello sterno ferroso di qualcuno che ti supera e che ti macera in qualcos'altro. Che è più ricco, d'accordo, sarai più ricco, ma non avrai la ricchezza delle mie parole, con cui riesco a bagnare mutandine in tempo record, non ci credi? Vuoi le prove, forse? O che avrà più potere, più bravura in altri campi, anche più intelligenza e cultura, ma anche lì, sei intelligente ma non scrivi come me. Quando scrivi sei un deficiente: levati, che sto aprendo un file e con questo file ti rompo il culo, ma di brutto. Vogliamo provare? Adesso, in 30 secondi, avanti, fai saltare quella ragazza dalla sedia, subito, anche un paragrafo, voglio vedere se ne sei capace, e questo demone avanza: si ragiona solo di parole orginali, contro un mondo che non comprende ma compete, che dorme e ti dimentica, che fornica con i tuoi morti e non ti consola, e questa capacità di poter fare e strafare con le parole – che tra l'altro, almeno fino a certi livelli, è una capacità che una persona di media cultura o anche di buona estrazione, può tranquillamente avere: quante volte ho sentito persone rileggere i propri temi, ricordare il loro dolore, la loro solitudine nell'essere definiti i mostriciattoli letterari della classe, ma che temi che scriveva, si vedeva da allora che c'era la stoffa, e la loro vita continua intorno a questo filo che con grande lentezza comincia ad attorcigliare un intero mondo di sensazioni, di relazioni, solo per relegarle nella potenza di un getto anarchico e radioso, personale, quindi originale, solo perché legato alla propria persona che deve rendere muto il resto del mondo e soggiocarlo della propria verità di luce letteraria.
Uno scrittore dovrebbe occuparsi di altro, non solo della bellezza o della forza o efficacia delle sue parole. Io ho capito le parole attraverso le non parole.
Ieri mattina c'erano due fidanzati, seduti su di una panchina, nell'ultimo lembo di una strada che frequento e che amo molto, e che finisce con un panorama delicatissimo. Io ero con due amici, ci siamo spinti fino all'ultima ringhiera, ci siamo messi a parlare, la ragazza fidanzata era seduta accanto al fidanzato, anfibi, collant neri, di sicuro messi nuovi quella matttina, accavallava le gambe con un'eleganza, quelle gambe erano bellissime e non facevano male, odoravano di biscotti Bucaneve e mettevano pace, infatti i miei amici non le hanno notate. Di solito oggi si nota il culo, il mazzo, come dicono molti, ma gambe tristi o felici, quasi mai si notano più, sono ordinarie, poco originali o personali. La fidanzata aveva in mano una macchina fotografica importante, ogni tanto guardava il ragazzo, poi lo inquadrava dalla macchina, un solo occhio chiuso, quello che rimaneva fuori, e dentro quel buio di quei pochi momenti io immaginavo quello che avrebbe visto. Durante lo scatto c'è sempre una parte di buio, indispensabile per controllare la luce e le sfumature dell'occhio che è dentro la macchina, ma quel buio, nella sua vita, in quel momento, sarà davvero così nero e vuoto, una saletta d'attesa prima dello scatto? Solo in quell'istante ho rivisto con lucidità che cosa rappresenta per me la mia ricerca di scrittura. Esattamente lo stesso gesto prospettico di quella ragazza, ma dalla parte dell'occhio chiuso. La mia scrittura nasce e si sviluppa da quell'occhio chiuso, che sembra morto o inutilizzato, ma che nasconderà un segreto, un mistero. Qualcosa che nella foto non si evincerà mai, e nemmeno il ragazzo scoprirà, il buio di quell'occhio era il suo nudo, più del ginocchio appena scoperto sulla panchina, che in quel momento avevo afferrato solo io. Credo che in quell'istante della foto, prima dello scatto, mi ero preso quella parte di buio, quella che adesso si sta sciogliendo in questo strano post di vigilia, così ordinario, poco festoso, impersonale, scialbo, inconcludente. Come un occhio chiuso sul mondo, ma aperto verso un altro mondo parallelo, che non si vede. Senza quell'occhio chiuso, pensavo, la foto del suo fidanzato non sarebbe riuscita, o forse sarebbe venuta lo stesso ma senza la stessa densità di mistero. Nell'occhio chiuso la ragazza poteva essere altrove, vedere altri mondi impressionanti e impressonabili per altri sviluppi. Eccolo il mio nodo. L'unico e misterioso.
Niente di originale, di personale, ma la ricerca di una verità nell'ordinario, che è l'unico mondo che conosco e che vedo, l'unico che può comunicare con quello doloroso e disturbante che sento dentro, che mi dà vita e mi rende l'esistenza setosa e feerica, come una lunga sera che si allontana.
Mi è molto difficile, proprio per questo motivo, definirmi uno scrittore, anche se oggi molte persone dicono di esserlo e credo anche a ragione veduta, vuol dire che avranno dei motivi per dirlo. Se io non so fare una cosa, e ci sono tante cose che non so fare, non mi sognerei mai di dire il contrario, e cioè di saperle fare. Mi riesce impossibile dire bugie, col rischio che da un momento all'altro qualcuno può smascherarmi. Per questo credo che chi si senta scrittore in qualche modo lo sarà, e quindi, di conseguenza, se io avrò delle resistenze a definirmi scrittore, dei motivi ci saranno. È probabile che lo sia meno degli altri, o che abbia una concezione diversa di scrittura che si fa. Non è un problema,
molte persone mi avvertono reticente, ombroso, lontano. Io continuo a fuggire ruoli, richieste di attenzioni, non sono portato a chiedere a qualcuno: mi leggi, per favore, io sono un super timido, non chiedo mai, ho un po' sempre vergogna di bussare, in un mondo così rapido, dove tutti si sono industriati e organizzati per proporre, rettificare i loro scritti, scagliarli addosso nella mischia e tempestare allo sfinimento le loro cerchie, spesso utilizzandole come platea, non c'è posto per un timido.
Ma io preferisco guardare il mondo dall'occhio chiuso di quella ragazza che stava per scattare la foto, sono certo che il mio mondo sia a suo agio in questi momenti di stupore, di piccolo incanto o miracolo, senza che si chiedano le cose, è come chiedere: per favore, potrebbe amarmi? Io vorrei sapere se lei trovasse il tempo, ogni tanto, di amarmi. Non deve fare niente, lei continui a fare la sua vita, con i suoi affetti, le sue cose, basta che ogni tanto si ricorda di questo amore, che non le farebbe niente di male, ecco, devo riconoscere che quest'approccio sarebbe molto più bello e creativo, senza accostare le persone con la merce conficcata in un gomito, aspettando il momento opportuno per farla scivolare, e dire, oh... che sbadato, il mio romanzo, a volte i casi della vita, e quella: ma tu allora scrivi, ma io non lo sapevo, e allora si tenta di essere reticenti, io dovevo consegnarlo domani, ma se a te va...guarda che per me sarebbe emozionante avere un tuo parere, veramente...l'altra è imbarazzata, ha anche fretta, io, non so se riesco a leggerlo in un solo giorno, sono un po' presa, ma no, chi te lo ha detto, ma...tu dicevi di doverlo consegnare entro domani, ma no, se tu decidi di portarlo con te, per me non ci saranno problemi riuscirò a trovare una soluzione, e questo all'infinito, cercando occasioni perché la propria originalità e la propria personalità siano al centro del mondo.
Io invece concludo dicendo che:
non ho idea che cosa sia originale, dal momento che non ho idea di cosa sia ordinario, comune, normale.
Personale, impersonale, lo stesso, non mi piace stare al centro, mi piace il bello dei pochi.
Esistono persone che ne valgono milioni, e io ogni tanto le ho incontrate. Questo è quello che conta.
Il resto, alla Bret Easton Ellis, è: rock 'n roll!
Auguri...
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