Erano circa le tre del mattino. Tornavo da una manifestazione in un albergo da una località di provincia e prima di andare già sentivo delle voci all'orecchio di persone che parlavano dell'autostrada chiusa. A me sembrava così strano, tra l'altro avevo raggiunto quel piccolo centro sempre e solo tramite autostrada. Una volta in macchina, da solo, cerco di non pensarci, avranno capito male, mi dico, ma una volta al casello, vedo tutte le luci sulle corsie di accesso per il ritiro del biglietto rosse.
Accesso sbarrato.
Avevano ragione. Il paese è nero come la pece. Comincio a guardare le segnalazioni, mi conviene puntare al centro o al primo paese più familiare, uno di quelli che ho già battuto, dove forse potrei sfruttare un varco autostradale funzionante, o a questo punto, mi dico, seguire direttamente la prossima indicazione verde e rassicurante delle autostrade oltre il groviglio di frecce blu che mi sperdono in frazioncine, rilievi, piccole località fantasmiche e sconosciute.
Ma è così tardi, in qualche modo, mi dico, devo comunque trovare una soluzione e così mi allungo alla sinistra del'autostrada seguendo la freccia di un centro più noto e familiare, che durante il giorno ricordo, in altre occasioni, di aver percorso da più direzioni. Accendo la radio. C'è un mago che parla, una voce rotta dal fumo, mette canzoni anni Sessanta, apro il finestrino, è estate, quando la freccia blu a un certo punto impazzisce e mi devia verso una strettoia in salita. A quel punto non so davvero cosa fare, poi mi faccio coraggio e la prendo.
Credo di aver provato raramente un'angoscia del genere. Quella strada sembrava scorporata dalle tinte naturali e variegate del reale, ma sembrava disegnata in bianco e nero, si restringeva sempre di più se qualche auto dal buio avesse cominciato a seguirmi sarei stato in trappola o anche una banda di balordi, a piedi, un collant gonfio di biglie di vetro dritto sulla tempia o su di un principio di palpebra, sarebbero bastate due persone a piedi per bloccarmi, non avrei avuto scampo. La strada continuava, come un viso umano e minaccioso. La radio era molto limpida nella nottata.
Comincio ad avvertire palpitazioni allo stomaco, credo che quel segnale sia stato messo lì per sbaglio o per scherzo, intanto devo trovare un varco dove deviare, lo spazio è minimo, davvero una lingua di terra e poi in retromarcia sarebbe stato impossibile, avevo percorso già un bel tratto. Ogni tanto compare un rudere, un cancello vecchio, costruzioni fantasmiche, senza anime. Sono disperato. Sarei tentato di scendere e di gridare il nome di Dio, o di una persona cara o di lasciare l'auto e nascondermi dentro un campo, immobile, in attesa del giorno, con la speranza che non arrivassero cani sciolti e affamati a divorarmi.
Il pensiero in quel momento, o meglio i pensieri, erano schegge impazzite. Io acceleravo, deceleravo, aspiravo l'aria nera della campagna dal finestrino e qualcosa mi saliva alla gola, quando...finalmente uno spiazzo, una strisciata di calce, come muco, dove poter fare un'inversione. Il cuore mi sobbalza, ancora nello spavento di non farcela. Mi guardo bene dietro, devo fare diverse sterzate, ma l'auto è quasi orientata nella direzione opposta. Durante la discesa ricordo ancora una telefonata col mago, di una signora dalla voce metallica, e io avrei affidato a quella voce, mentre la macchina scendeva e mi avvicinava alla strada principale, le chiavi della mia vita.
Ritornai ai caselli, e mi infilai in una delle corsie dove era tornata la luce verde. Il mio sterno, che prima racchiudeva brindisi di fucilate dalle vallate atrio ventricolari, mi ritornava normale e amico.
Ritornai ai caselli, e mi infilai in una delle corsie dove era tornata la luce verde. Il mio sterno, che prima racchiudeva brindisi di fucilate dalle vallate atrio ventricolari, mi ritornava normale e amico.
Ritirai il biglietto e lo baciai.
Quanto ho amato, in quel momento, quella notte e la mia vita...
Quanto ho amato, in quel momento, quella notte e la mia vita...
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