Nell'abbandono alla stesura di lavori lunghi di narrativa, soprattutto quando mi decido a considerare chiuso l'impianto, esistono sempre degli attriti che vengono fuori a distanza e che mi tormentano, a volte come lo sfregamento di un'unghia sul vetro di una finestra. Fra quelli principali l'ostacolo a una certa fluidità di linguaggio, del mio linguaggio, alla tensione e all'uniformità di una certa rispettiva tensione, che preservi il lavoro da picchi improvvisi come dalla melma delle sabbie mobili. Una sorta di compromesso politico-storico tra gli eccessi. La scrittura è sempre un'attività che si muove nel bilico e nelle tenebre più fitte; la viscosità delle sabbie mobili è sempre in agguato, per quello che ho avuto modo di constatare nelle mie verifiche post-revisione. L'esigenza di una certa tensione da preservare nell'architettura e nella forma di un progetto, la avverto in relazione alla necessità di armonizzare i vari strati dell'opera in un certo magma pulsante, ma che abbia sempre una sua pronuncia occulta e coerente nell'espansione, nei suoi accenti che ritornano, nella scelta dei suoi incroci, nelle sue diramazioni dinamiche, come nelle sue stasi più feeriche o meditative. Un senso di chiarezza che nasce da tanti elementi correlati in un'ortodossia, che hanno a che fare con il ritmo, ma anche con il respiro, con la scelta dei silenzi, insomma con tutte le coordinate emozionali e sintattiche che in qualche modo devono comunicare e interrelarsi in una composizione. Un pendolo interno, che scandisca senza imprigionare il tempo più o meno immaginario di quella vita, ma che sancisca delle regole severe di base, pur nella personalizzazione e nello spazio misterioso di un proprio universo creativo, allo stesso modo dei rintocchi delle ore di un giorno da un campanile di un piccolo centro. Credo che la più grande libertà nell'esprimersi sia farlo nell'identificazione di un proprio assetto formale, nella ricerca accurata di una limitazione congegnata a restringere, a rispettare determinati confini, per poter diversificare non solo la grandezza delle distanze, ma soprattutto la qualità fondamentale di un orizzonte.
L'abisso più spaventoso, quando mi immergo con tutto me stesso in un lavoro di scrittura, è preservare l'autenticità dell'intento con una struttura armoniosa, che abbia un'impalcatura stabile e non casuale, con dentro dei diktat ben precisi, orientati però a dare luce e a ventilare le mie stanze, e mai a soffocarle. Esiste sempre un demonio matematico in ogni passaggio, anche nel più inconsapevole è necessario un sostrato con una sua stabilità. Credo che dalla ricerca accurata di una tessitura, si possa realizzare un senso di scrittura, ma anche delineare uno scrittore per quelle che sono le sue responsabilità principali, il suo valore e le sue caratteristiche. Lo scrivere a caso, per esempio – cosa ben diversa dall'abbandonarsi ai misteri di una narrazione senza sapere quello che accadrà: questa è una delle cose più affascinanti quando si scrive – è quell'atteggiamento di superficialità nei confronti delle proprie scelte, dei propri passaggi, che denota una mancanza di riflessione e di sensibilità. Anche uno studente di pianoforte dei primi anni conoscerà le regole fondamentali della tecnica, avrà e starà esercitando la lettura delle note, la conoscenza degli accordi fondamentali, delle forme musicali, la magia del tocco, nei suoi primi o secondi passi. Quegli esercizi noiosi e quotidiani, saranno il concime per il respiro futuro delle sue esecuzioni, dove ci si augura che lo studente non pesterà mai sui tasti a caso, ma si muoverà in una determinata traiettoria. Perché lo scrivere, a volte, lo si considera come un universo a parte, regolato spesso dalla sola ispirazione, dal sentimentalismo di un momento fortunato, incoraggiati dal fatto di aver scritto sempre dei bei temi alle medie, ignorando che vigono le stesse regole che lo studente di pianoforte deve affrontare e patire, prima di trovare la sua libertà, il suo cuore, il giusto respiro dell'esecuzione? Lo scrittore che esegue senza respiro, spesso è un pianista che pesta, che strilla e che non lega bene i suoni. Scrivere bene è come per un pianista cercare il suo legato, il suo tocco sulla vita segreta dei suoni, che è una delle cose più difficili per uno strumento a corde percosse. Anche la scrittura è uno strumento a corde percosse. Anche la scrittura ha i suoi precipizi, i suoi ostacoli, i suoi tasti neri e le sue regole tonali. Anche la scrittura necessita di un certo tocco sulla vita.
Il pericolo, quando scrivendo non si affronta ancora il quadro d'insieme nella sua ampiezza e ariosità, è quello di attorcigliarsi in fermenti linguistici che distanziano dall'uniformità, quindi da quella certa tensione o ritmica che sottende un'unità formale definita, al compimento di un oggetto estetico, che contempli a suo modo una sua idea di ordine, pur nelle stravaganze del regime apparente di puro caos. Le sabbie mobili a volte consistono nell'utilizzare dei vezzi, delle particolari progressioni, avvertendole parti vitali di una certa espressività astratta, senza accorgersi che in diversi casi scompaginano e affossano l'equilibrio di una certa sezione e quindi di un insieme, rendendo più muto e più sterile degli altri quel pezzo di paradiso emozionale nel quale ci si credeva graziati da chissà quale rivelazione. Il controllo consapevole del gesto, dello slancio, avviene sempre a una certa distanza temporale dal primo o dai primi getti, e con un occhiale più attento ma anche più freddo, che spesso denota quanto la parsimonia e la semplicità, nella scelta e nella ricerca di una singola parola, apportino molta più energia, nutrimento sensibile ed equilibrio, di tanti apparenti slanci di lirismo o di spianate baroccheggianti, che a volte, senza una linea di condotta, potrebbero rappresentare davvero l'inizio della fine. Il gorgoglio viscoso delle sabbie mobili. Quest'analisi è frutto di alcune mie personalissime osservazioni individuate durante la mia pratica di scrittura, dove la viscosità di solito è sorta da un desiderio di alzare la voce per sentirmi più vivo e vibrante nella narrazione, per arrivare prima, o per forzare l'illuminazione del momento narrante e del mio ambiente creativo, dimenticando una differenza sostanziale che è quella che si frappone tra il volume e l'intensità. Qualcosa di elementare, che a volte potrebbe sfuggire, ma che come tutte le piccole cose ha il suo grande peso. Come lo ha quell'inafferabile legato, per il nostro giovane pianista di poco fa e per il suo tocco sulla vita:
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