È dentro il silenzio, di alcuni momenti, che possono sembrare piccoli, che si varcano e si snidano misteri e si accorda per bene il proprio suono.
Se non accadesse questa fasciatura silenziosa su quello che sento o che immagino di vedere, sarei sordo o forse anche solo stordito e scriverei sciocchezze. L'assenza del suono, del suono che mi attrae e che mi fa oscillare verso determinate proieizioni, sollecitazioni e relative attenzioni, è fondamentale per ritrovare il nesso con una fase altra, una fase in apparenza inutile, dove spesso mi accorgo di un'altra branca di valori metalinguistici insondabili, ma allo stesso tempo intimi e striscianti di un'oscura consanguineità con il mio mondo espressivo e con la mia vita.
Lo stesso linguaggio che si ricerca e che si adopera, ha tutt'altra grana se viene sviscerato da una zona intatta e franca dall'affollamento di suoni, di stimoli, di percezioni troppo invasive e scroscianti del gesto meccanico di suzione e rifrazione dello stesso pasto ingurgitato, soprattutto da territori chiassosi e privi di un'armonia e della condizione primaria per ritrovare il proprio personale suono con cui relarsi o al quale immolarsi. In silenzio o forse è meglio...dentro il silenzio.
La ricerca del mio suono, quello che potrebbe rappresentare un'idea di quello che avverto vero e potabile alla mia percezione sonora di uomo, più che di artista, va fasciata attraverso questa garza, questa membrana fresca e innocua imbevuta di notte e di esorcismi, che diventa molto più luminosa della stimolazione eccessiva alla luce e alle troppe voci.
Se si è davvero in una zona silenziosa, si affronta la comunicazione scritta con maggiore consapevolezza e non solo per il mero gusto del dire per il dire, ma del dire per il dare. La distanza tra i due moduli è abissale.
Questa preziosa fasciatura silenziosa la avverto una madrina che dovrebbe allattare il mio passo, essere l'odore buono del mio passaggio, la mia fragranza, questo anche quando decido di parlare, di dire e di rompere il bianco della pagina, come quello di un qualsiasi post. Il dire con silenzio, significa essere disceso dentro. Scrivere con una discesa più o meno precisa in un proprio laboratorio, comporta un'attività espressiva sintonizzata alle frequenze del proprio mutismo, e quindi delle dinamiche perché questo mutismo si infranga e del mistero, spesso insondabile, che rappresenta il cuore della sassata notturna, la quale non avrebbe il suo fascino se non scaturita da una lunga stasi o apparente pace dalla scure di certi suoni.
Proprio stamattina scrivevo a un'attrice di quanto conti l'essere davvero impressionati, il ricevere un totale e abissale impressionamento da qualche particolare circostanza reale o anche filtrata dal reale in una dimensione parallela di rielaborazione, per comunicare. L'onestà di una certa comunicazione nasce dalla purezza e dalla profondità di un percorso solitario di reale impressionamento, dove l'impressione sia scaturita da un'immersione attenta e coraggiosa in quello spazio silenzioso e puro, dove sfila la fucina del tempo, e dove la vita intinge il suo filo bagnato dentro la tua cruna, o come stanotte, quando ascolto ancora il fruscio delle poche auto lontane, verso l'Appia, e la campagna muore dentro se stessa, come muore l'estate o un uccello ammalato nella febbre rovente del suo nido.
Nel silenzio.
Credo che vi sia l'urgenza di una comunicazione che nasca e si irrori da una pratica silenziosa e non dalla molestia del grafomane o dell'annoiato. La parola sarà matura se scaturita dall'intensità di un vero buio, un buio di gestazione e di accudimento, ma non da questo continuo abbagliare e abbagliarsi, senza tregua, che confonde e ottunde, ma che non inonda mai.
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