Mi accorgo sempre di più che il senso e anche lo scopo di qualsiasi ricerca, riguardi e si imprima molto di più di quello che ancora manca, e che forse non troverò mai, pur continuando a cercarlo, rispetto al resto che credo di aver raggiunto. Essere rappresentati da quello che si è perso e non da quello che si è appena trovato.
Un stato d'animo tra i tanti, che mi accompagna nelle strane escursioni e incursioni che interessano la mia scrittura. Mi accorgo, quindi, di dedicare tempo ed energie al superfluo, all'assoluto superfluo. A tutto quello che non riguarda il seme di quello che faccio ma la scorza. A quando immagino possa essere sbucciata questa patina succosa, da quale coltello da cucina, in quale giorno, in quale latitudine, da quali mani; se pulite, sgocciolanti di Pepsi o di terreno argilloso.
E allora?
Ritornare invece indietro e dentro. Anche per un secondo. Non otterrò assolutamente nulla da quello che scrivo se credo che il mio atto debba giustificare un risultato, un incrocio predefinito e predestinato con una condizione ufficiale di riscontri, di statistiche.
Si parla di pagine scritte come si parla di qualità di mascara, di abbronzature, di natiche rassodate o di stivali firmati. È proprio lo stesso regime corporeo. Cambiano gli elementi ma i codici sono gli stessi. Gli occhi chiari, i profili, i nasi, le altezze, e così la cultura. Il culturismo culturale, l'approccio a una certa etica dell'esteriore e non dell'estetica. Ultimissime generazioni parlano di letteratura per equazioni lineari. Evitano anafore, omoteleuti e allitterazioni come merde di cani. E ormai non sognano più ma contano alla perfezione le numeriche e le metriche di un sogno. Le verità acquisite del giusto sogno, del giusto modo di sognare e ancor peggio di creare.
E allora tutto il mai fatto, mal fatto non fatto, sarà ancora parte della mia espressione, rimarrà il benvenuto. Vivere l'atto dello scrivere con la dedizione intensa a ritrovarmi in una perdita, e non in un luogo preciso di vacanze, semmai pieno di fiche e di gelatai rosseggianti contro la calura del mio Agosto, aperti fino a notte fonda, senza una sosta e nemmeno una luce spenta.
Un atto creativo rimanga allora incondizionato ma assetato, e forse avrà un senso la sua ricerca senza risultati.
Se io comincio e ricerco ho già ottenuto il mio risultato.
Un stato d'animo tra i tanti, che mi accompagna nelle strane escursioni e incursioni che interessano la mia scrittura. Mi accorgo, quindi, di dedicare tempo ed energie al superfluo, all'assoluto superfluo. A tutto quello che non riguarda il seme di quello che faccio ma la scorza. A quando immagino possa essere sbucciata questa patina succosa, da quale coltello da cucina, in quale giorno, in quale latitudine, da quali mani; se pulite, sgocciolanti di Pepsi o di terreno argilloso.
E allora?
Ritornare invece indietro e dentro. Anche per un secondo. Non otterrò assolutamente nulla da quello che scrivo se credo che il mio atto debba giustificare un risultato, un incrocio predefinito e predestinato con una condizione ufficiale di riscontri, di statistiche.
Si parla di pagine scritte come si parla di qualità di mascara, di abbronzature, di natiche rassodate o di stivali firmati. È proprio lo stesso regime corporeo. Cambiano gli elementi ma i codici sono gli stessi. Gli occhi chiari, i profili, i nasi, le altezze, e così la cultura. Il culturismo culturale, l'approccio a una certa etica dell'esteriore e non dell'estetica. Ultimissime generazioni parlano di letteratura per equazioni lineari. Evitano anafore, omoteleuti e allitterazioni come merde di cani. E ormai non sognano più ma contano alla perfezione le numeriche e le metriche di un sogno. Le verità acquisite del giusto sogno, del giusto modo di sognare e ancor peggio di creare.
E allora tutto il mai fatto, mal fatto non fatto, sarà ancora parte della mia espressione, rimarrà il benvenuto. Vivere l'atto dello scrivere con la dedizione intensa a ritrovarmi in una perdita, e non in un luogo preciso di vacanze, semmai pieno di fiche e di gelatai rosseggianti contro la calura del mio Agosto, aperti fino a notte fonda, senza una sosta e nemmeno una luce spenta.
Un atto creativo rimanga allora incondizionato ma assetato, e forse avrà un senso la sua ricerca senza risultati.
Se io comincio e ricerco ho già ottenuto il mio risultato.
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