"Che pace lì fuori, la sente,
signor Plamf, quanta pace? A volte mette paura troppa pace. Troppo silenzio,
perché ci si sente all'improvviso da soli. Da soli al mondo. A lei non succede
mai di sentirsi così, signor Plamf? È una sensazione profonda del nostro
ghetto, che non si può capire se non la si prova, che sale tutta alla gola,
come il fumo. La stessa che provavo con Romilda, quando eravamo seduti su due
poltrone vicine, di sera. Non accendevamo mai la luce e aspettavamo il buio più
fitto, senza dirci altro, con la radio al volume minimo, non come ora. Così
come succedeva al ghetto, quando rabbuiava. Tutti non si dicevano molto nelle
tenebre, le radio si abbassavano, le parole non uscivano, si ritiravano così
come le nostre. Nemmeno una carezza, nel ghiaccio della sera ritornava il
freddo, ma anche la stanchezza di spostarci per darci fuoco. Il buio che sale
alla gola, come il fumo di una coperta, che poi scompare. Anche Romilda è
scomparsa come il fumo di una coperta. La sua poltrona profuma ancora della sua
schiena, e della coperta che si teneva sulle ginocchia sporgenti, come un lungo
gatto d'angora, dalle vibrisse di lana. I braccioli della poltrona accanto al
lume di sera sono sempre di ghiaccio, dove si posavano le sue mani screpolate,
aveva i dorsi spaccati, chissà se non sarà partita di lì la sua malattia. Non
portava anelli e nemmeno bracciali, ma indossava le spaccature, Romilda, come
monili corallini e il sorriso fioco del mal di cuore".
martedì 15 maggio 2012
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