Il terzo capitolo de "I lumi a sera", che renderò disponibile da domani su questo blog, mi ha dimostrato ancora una volta di quanto siano inesauribili le interazioni tra assetto e verifica di una bozza e tutto il movente creativo che la riguarda e che non è mai, come diversi credono, in una fase di stasi assoluta quando chi scrive corregge. Penso che chi corregga continui ancora a scrivere e a cercare nella correzione tutto quello che ancora ha perduto o che ha dimenticato di inserire nelle prime fasi di stesura, quelle in apparenza più generose e libere, dove sembra esplodere l'acqua di un fiume, ma dove, a volte, la sensazione di esprimersi e di poter dire è molto più forte di quello e di quanto in realtà si sta esprimendo e dicendo mentre si scrive. Le due temperature e le intensità quasi mai corrispondono, ed è difficile controllare quanto più o meno intensa o fedele sia la parola appena scritta rispetto a quella appena pensata ( o anche non troppo pensata o non pensata: ma su pensiero, non pensiero e scrittura, si aprirebbe un varco troppo grande). Può accadere di sentirsi avviluppati da un passaggio terso, di una bellezza primordiale, incontaminata, e accorgerci, solo più avanti, che quella era una nostra sensazione del momento e che dentro le parole che abbiamo lasciato non rimane nemmeno l'ombra di quello che si credeva. Le parole non sono sempre lo specchio immediato della nostra sensazione o immagine dalle quali scaturiscono; io credo che non lo siano quasi mai. Il risultato è sempre quello di una mina esplosa in una mano, che ci trancia le cinque dita, questione di secondi e quello che si pensava di rappresentare con le proprie ombre cinesi alla parete e alla luce di un lume, è già sformato e dilaniato da altissime temperature, impreviste e letali. Ecco perché la fase della revisione e della riscrittura rappresenterà una continuità naturale del percorso di estrazione di quello che si credeva espresso e già detto, e che è rimasto invece ancora inespresso o a volte nascosto e infossato da molto altro. Con la sottrazione, per esempio, è molto strano ma si arricchisce uno scritto, proprio al contrario di come ci si aspetterebbe e anche in questo caso il mio gesto di sottrarre sarà sempre nutrito dalla nostalgia oscura di quello che è passato, che mi è esploso nelle mani prima di lasciarlo scritto e integro. Scrivere è difficile per questo, per colpa della parola. La limitazione della scrittura è data in primo luogo dalla natura e dall'impotenza della parola che diventa insieme accesso ma anche ostacolo al pensiero e all'immagine selvatica da esprimere.
Credo, per queste tortuose ragioni, che non esisterà una fase solo creativa e una fase solo valutativa e analitica riguardo ai fatti di un proprio scritto; intendo dire che l'impulso a smuoverlo e ad orientarlo verso una sua origine e opalescenza magnetica in formazione, che rimane sempre indefinita tra quello che si voleva e si vorrebbe esprimere e tutto il groviglioso resto che si frappone, sarà sempre dolorosamente costante in ogni fase del percorso. Mi sono accorto, lavorando alle ultime rettifiche di questo capitolo, di quanto questa sua mobilità e propensione a imbeversi ancora di nuove forme, oltre a quelle che gli erano state già assegnate, gli abbia dato una nuova autonomia e flessibilità. È il capitolo che sintetizza uno dei semi più vivi della storia, il tipo di introspezione del personaggio femminile, i tempi, i tratti di alcuni ambienti e di alcune luci o contrasti, che sono stati sviluppati come continuità di qualcosa di interrotto o di esploso, ma anche, miracolosamente, di ricomposto e restituito.
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