venerdì 11 maggio 2012

Nadine Gordimer e i suoi racconti


Dopo Faulkner tiro un certo sospiro di sollievo. Era un primo scoglio che volevo superare usandolo come reperto di indagine sullo scrivere semplice e su tutti gli annessi di questa diffusa quanto noiosa considerazione.
Adesso passo a una scrittrice del Sudafrica, nata esattamente nel Transvaal, e che ho trovato davvero straordinaria. Si tratta di Nadine Gordimer. Sono davvero innamorato di Nadine Gordimer, del suo linguaggio non facile, dei suoi chiaroscuri, della sua voce bassa nel buio, delle sue trovate e della sua eleganza. Se fosse stata molto più semplice non mi avrebbe fatto innamorare così, ne sono certo. Così come alcune ragazze hanno il loro tratto più bello e seduttivo proprio nell'ombra di un certo broncio, che sembra calcato a mano quando le attraversa, rendendole indimenticabili molto più che per i loro sorrisi.
Mi dispiace deludere le scuderie del semplice, ma la Gordimer non ha nessun interesse a semplificarsi, perché lo è già di suo e non ha necessità di diventarlo o di fingerlo. La sua semplicità, ma io dico la semplicità, in senso lato, è uno stato dell'essere e non del fare. Non ha sempre ha che vedere con la comunicazione, ma con la bellezza delle proprie giornate, dei propri amici, delle proprie cene all'aperto e non delle proprie cartacce. Maggiormente quindi nella fase passiva e ricettiva, quella di gestazione, che in quella della combustione di un pensiero di scrittura.
I racconti della Gordimer sono davvero bellissimi. Non facili e quindi bellissimi due, tre, quattro volte di più. E in questa magnifica raccolta, la scrittrice ha scelto un titolo che lascia trapelare tutto il gusto e la ricchezza della sua arte, delle sue sfumature e dei suoi interessanti contrasti: "Beethoven era per un sedicesimo nero".
Ecco l'attacco dell'ononimo racconto:
"Beethoven era per un sedicesimo nero

annuncia il presentatore di un programma di musica classica alla radio prima di elencare i nomi dei musicisti che suoneranno i quartetti per archi n. 13, op. 130, e n. 16, op. 135.
 È una rivendicazione che il presentatore fa come gesto riparatore nei confronti di Beethoven? La sua voce e la sua cadenza lo rivelano irrimediabilmente bianco. Un sedicesimo è forse il tacito desiderio che nutre per sé?
Un tempo c'erano neri che volevano essere bianchi.
Ora ci sono bianchi che vogliono essere neri.
Il segreto è lo stesso".

E adesso un altro breve estratto dal racconto "La lunghezza della solitudine" (e che titoli, poi...), dalla stessa raccolta:
"Ma io mi sto adattando a questa vastità! Posso farcela, almeno per un po', credo. Non è ciò a cui ero abituato e qui non c'è il mio usuale nutrimento, ma constato che i miei segmenti, l'intera lunghezza del mio essere, mi obbediscono ancora: posso avanzare con il mio consueto ondulare".

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