L'inchiostro dei sette gioielli: i finalisti
Orientexpress è lieta di comunicare la lista dei racconti finalisti del concorso “L’inchiostro dei sette gioielli”. I finalisti saranno contattati per partecipare alla serata di premiazione che avverrà nella città di Napoli con data e luogo da definirsi.
Elenco finalisti:
DA UN LATO, DALL'ALTRO, FRANCESCO VELONÀ
GENTE MECCANICA, FRANCESCO JONUS
GRANELLI DI QUESTO MONDO, PINA TAGLIALATELA
L'AMICO FEDELE, ELISABETTA BALEANI
LA COMPAGNA DI CLASSE, LUIGI SALERNO
LA LEGGENDA DEL CANE RESUSCITATO, DONATELLA PERULLO
LE AVVENTURE DELL'HOMO SAPIENS, SIMONE CANNOVA
LE SEI NOTE, ALESSANDRO CUPPINI
NEMMENO UNO SPAZZOLINO IN VALIGIA, ALESSIO PIRAZZINI
PRIVATE DANCER, ANNACHIARA DE PIPPO
SCOMMESSE, CARLO MARIA MIELE
UN UOMO A PEZZI, DANIELA BRANCACCIO
Un ringraziamento a tutti i partecipanti al concorso da parte della Redazione.
venerdì 26 febbraio 2010
Dalla ricerca di sé
"Dalla ricerca di sé al viaggio interiore, ogni scrittore fa esperienza, in modo più o meno profondo, di quella necessità che non ha parole per esprimersi nel mondo profano della realtà, di quella ricerca di una verità cui si sa che, al massimo, ci si può accostare, Egli sa che scrivendo schiude un mondo di cui conosce talora le parole o l'argomento, ma che scoprirà soltanto a mano a mano che procede. Se ne sente spossessato e più spesso posseduto".
Claire DeLannoy (Premio Goncourt 2003 du premier roman)
giovedì 25 febbraio 2010
In parallelo
...sarebbe bello provare per qualsiasi essere umano, lo stesso amore incondizionato e austero che si può provare per una montagna di sera.
l.s.
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On writing
Si dice molto sullo scrivere, a volte troppo, altre volte quel giusto che conti o che incanti. Ma sono convinto che rimanga una faccenda piuttosto oscura e difficilmente risolvibile o assimilabile in formule chimiche o frasi di circostanza. Soprattutto quando in diversi casi ci si infervora per ottenere quella chiave magica o segreta, che scardini i portoni dorati anche di un piccolo editore -anche alcuni piccoli, a volte, hanno le loro manie di grandezza e la sensazione di conoscere la verità e molto più dei grandi, di sapere quali siano le regole assolute del gioco, dei mercati, che cosa sia importante eliminare o semplificare, le dinamiche precise di involuzione o di funzionalità di un percorso stilistico- e che accenda le proprie parole come dei piccoli lampioni di un viale parigino, in attesa di passaggi di innamorati distratti e meravigliosi e di acclamanti movimenti di braccia. Mentre la questione la vedo parecchio più complessa o forse anche parecchio più semplice. Mi spiego: parlando nel mio caso, questa faccenda rimane piuttosto oscura per cui non mi piace limitarla a un semplice processo di scambio o di tecnica, come se riguardasse una disciplina sportiva o qualcosa di simile, ma, anche se potrà sembrare paradossale, la considererei invece come un divertentissimo castigo o disagio, o sadico divertissement al massacro di una sfida estrema con le proprie forze e i propri insondabili limiti, o a volte una soffocante molestia che ti toglie l'aria ma che dentro quello stesso maglio ti libera. Quale metodica allora per una sensazione di agguato, di profonda invasione incontrollata sul proprio tempo, sul fatto che molte volte non si decide e ci si trova sepolti in un flusso medianico e scomposto di parole o di situazioni di linguaggio? Quale metodica sulla grandissima possibilità che tutto questo grande soffocante impeto di sottomissione, possa risultare alla fine quanto di più inutile e controproducente ti sia mai capitato di fare, eppure tu riesci a curarlo ancora, con la stessa tenerezza di dedizione e lo stesso amore con cui quest'estate ho ripulito il vomito di mio nipote di cinque anni dai sediolini posteriori dell'auto? È tutto molto intrecciato, per ciascuno questa maledizione avrà le sue particolari caratteristiche, i suoi tempi personali e profondi di incubazione, di martirio, di scherno, di linciaggio, di orgasmo, di scadenza o di eternità. Esistono delle verità, di questo ne sono certo, ma non pianificabili e nemmeno facilmente universalizzabili in una sola arrogante metodica o dentro l'elenco di un semplice decalogo. È come la vita, io non ci ho ancora capito un accidenti della mia eppure riesco ancora a cavarmela da solo in qualche modo. Al centro della mera e meravigliosa gabbia di un processo violento di scrittura che scoppia in una qualsiasi esistenza, l'unico punto fermo, al di là di tutti i possibili dubbi, i preconcetti, gli assiomi, le teorie nebulose dei grandi esperti, è invece una faccenda molto più semplice quanto disarmante: la tenerezza di un piccolo desiderio. Ci si accorge di essere scrittori, e non solo vittime sacrificali di un processo misterioso e perturbante, quando le proprie parole accendono un lampo di desiderio in qualcuno, un'emozione che non riguarda la tua vita e le tue faccende private, ma la sua.
Che sia nel racconto che invento sul momento a mio nipote e che a volte lo cattura da non schiodarlo per giorni da certe situazioni che finanche io finisco per dimenticare e che lui mi ricorda, o la sinossi buttata di getto per una casa editrice di Milano questo pomeriggio, insomma che avvenga quella scintilla così poco determinabile razionalmente per cui chi si imbatte in quello che tu scrivi provi anche solo per un attimo il turbamento o la leggera inquietudine di ripetere in qualche modo i tratti di un'esperienza intima e già vissuta, qualcosa di già provato, anche se ancora indefinita o dolorosa ma pulsante, e che lo porta a distrarsi addirittura dal presente, dal momento specifico di quella stessa lettura, per pensare al senso delle tue parole che toccano e si perdono in qualche modo nella sua vita. Penso che tutte le parole che possono dirsi o scriversi, alla fine saranno invalidate per sempre se non avverrà questo semplice tocco o bacio rubato tra sconosciuti. Uno sfioramento, quello di un semplice braccio o di occhi sfuggenti tra estranei in un tram o in metro, che forse non si incontreranno mai ma che in un certo momento della loro vita dedicheranno anche un solo attimo a pensarsi. Penso che il tutto si riduca a un senso profondo e misterioso di reciproca perdita. Quando si accende questa piccola scintilla con qualcuno, anche se nella tua vita hai buttato quattro paragrafi in tutto, allora tu scrivi e l'assurdità di tutto il processo ha trovato il suo senso. Nonostante.
l.s.
martedì 23 febbraio 2010
Pensando...
È molto tardi quando mi attacco a un pensiero qualsiasi, un pensiero tardivo o quello di uno che fa tardi senza un motivo chiaro, forse perché gli occhi a quest'ora sentono meglio, o forse in ritardo e in modo più scandito quello che avviene. Perché quando rimango sveglio i pensieri si attaccano ai suoni -musica della notte:Bartok- Come questo, che mi ha sfiorato in una smorfia di sonno: che a volte la fine di un qualsiasi rumore insistente e molesto che stacca nella propria vita o dentro un palazzo moderno in una notte a caso, interiorizza in nuce una pace molto più pura di qualsiasi inanimato possibile alternativo silenzio: i tacchi di una donna dal cortile che rientrano e rallentano (è difficile che non riesca a intuire la profondità di sguardo e di mistero dal solo passo femminile; a volte intuisco la grandezza dei seni o degli occhi. Non lo so come è possibile ma le informazioni di un certo passo sono infinite, basta affinarsi quel minimo), lo sbattere del portone, l'ululato di un cane rimasto solo per troppe ore, un televisore acceso di un anziano completamente sordo o frastornato, la stoccata di un ascensore che ferma al piano e rimbalza, l'acuto raggelante di un concerto lirico da una finestra aperta, una cena tra amici che sgorga in un applauso, una telefonata nel cuore della notte - quelle mute hanno lasciato insonni migliaia di individui per intere notti: c'è addirittura chi pensa che da una telefonata notturna ti si possa spezzare qualcosa dentro e per sempre, nel profondo: ho i brividi... A volte basterebbe non rispondere, ma anche quella è una forma di risposta.
Tutto questo è comunque un preludio a qualcosa, a un qualcosa che possiede un senso assoluto di pace qualitativamente più sottile e sensibile, ma a condizione che sia inserita in quell'esatta dinamica dicotomica.
Tutto questo è comunque un preludio a qualcosa, a un qualcosa che possiede un senso assoluto di pace qualitativamente più sottile e sensibile, ma a condizione che sia inserita in quell'esatta dinamica dicotomica.
Follie...(o un incipit)
l.s.
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lunedì 22 febbraio 2010
La concezione degli anziani nella società occidentale
Sono contento di dare spazio, quando mi è possibile, a processi di scrittura e di riflessione da parte di giovani studenti di qualità. Questa settimana ritorna un contributo di Leone 93 che ha lavorato sul tema e sulla considerazione dell'anziano. Gli faccio un grosso in bocca a lupo, complimentandomi con la straordinaria Daniela Fariello e le sue altrettanto valide colleghe del Liceo Braucci, che stanno ottimizzando il loro spazio didattico verso un affinamento delle forme di espressività e di sensibilizzazione a svariate tematiche della realtà sociale e culturale. Inoltre questi ragazzi, che trovo davvero molto in gamba, hanno modo di fare del buon training con la loro scrittura e di farsi leggere, sviluppando parallelamente le loro qualità letterarie in nuce e in molti casi potenziare quelle già ben marcate e definite.
Ecco uno scritto di Leone 93:
La concezione degli anziani nella società occidentale di Leone 93
Nell’immaginario collettivo diventare anziano significa il più delle volte, andare incontro ad una fase della vita connotata da eventi negativi. L’anziano viene percepito come una persona lenta, inutile e dall’intelligenza appannata. Nel passato si nutriva grande rispetto per gli anziani. E ora? Se ci soffermiamo ad analizzare la situazione al giorno d’oggi, constatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è ancora valorizzata e rispettata; presso altri, in particolare nella nostra civiltà occidentale, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l’utilità immediata e la produttività dell’uomo. Per questo motivo la cosiddetta terza età è spesso svalutata e gli anziani stessi sono indotti a domandarsi se la loro esistenza sia ancora utile a qualcosa. Noi adolescenti sembriamo quasi incapaci di pensarci vecchi. Ma proviamo solo per un istante ad immedesimarci in una persona con decenni di vita alle spalle. A quel punto bisognerebbe vivere, bisognerebbe lottare contro gli anni che passano, contro gli acciacchi della vecchiaia, contro la malinconia, la solitudine e i bisogni del cuore. Essere anziani è molte volte una lotta, alle volte non si ha la fortuna di star bene e addirittura è una sorta di rassegnazione, uno stato di torpore. La vita di un anziano è pertanto complicata: d’estate non possono uscire perchéc’è troppo sole, si suda e il caldo eccessivo non fa bene; d’inverno non possono uscire perché fa troppo freddo oppure piove, e allora rimangono in casa in attesa che qualcuno telefoni, che qualcuno venga a far loro visita. Ecco allora che la vecchiaia diventa solo attesa. Non si ha più voglia di un nuovo inizio, voglia di imparare nuove cose, come se l’essere troppo avanti negli anni non renda più capaci di pensare, di agire e di decidere. Le forze vigorose di una società devono onorare gli anziani perché essi, nonostante l’affievolirsi delle forze, aiutano a guardare la vita con più saggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e maturi. Essi sono custodi della memoria collettiva, sono le nostre testimonianze e perciò interpreti di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato in cui affondano le radici del presente in nome di una modernità senza memoria. Gli anziani, grazie alla loro matura esperienza, sono in grado di proporre ai giovani consigli preziosi. Occorre quindi convincersi che è proprio di una civiltà pienamente umana rispettare e amare gli anziani e fare in modo tale che si sentano parte viva della società moderna, perché è anche grazie a loro che oggi siamo qui a parlare…
Leone 93
domenica 21 febbraio 2010
Concorso letterario 8x8
Concorso letterario 8x8 (marzo-maggio 2010)
Finalmente un concorso letterario diverso, dove non si vince null’altro che qualche buon libro e si ha la possibilità di essere letti e ascoltati dagli addetti ai lavori.
L’idea è dare importanza al confronto tra scrittori, editor e lettori.
Cinque serate, otto scrittori ciascuna, otto minuti ciascuno per esprimere la propria inedita creatività. 8x8 è il nuovo concorso letterario organizzato da Oblique Studio e Fandango rivolto ad autori esordienti e no.
Una doppia giuria (popolare e di qualità) stabilirà il vincitore di ogni serata. I premi consisteranno in libri messi a disposizione dalla casa editrice madrina (di cui verrà esposta una selezione del catalogo) della serata.
La giuria popolare sarà composta dal pubblico presente in sala mentre la giuria di qualità da esperti e professionisti del mondo dell’editoria.
Le serate si svolgeranno presso il Caffè Fandango, piazza di Pietra 32, Roma, a partire dalle ore 20,30. La competizione sarà introdotta da una lettura di uno scrittore affermato.
Le case editrici madrine sono: Fandango, minimum fax, Voland, nottetempo, Fazi.
Le date previste delle serate:
martedì 9 marzo;
martedì 23 marzo;
martedì 6 aprile;
martedì 20 aprile;
martedì 4 maggio.
Per partecipare è necessario inviare un racconto inedito in lingua italiana a tema libero che possa essere letto in 8 minuti (comunque non superiore a 8000 battute compresi gli spazi) e i propri dati essenziali (nome, domicilio, telefono, email) nel corpo del messaggio a: 8x8@oblique.it
I file devono essere nominati così: cognome-ome_titoloracconto_data.doc.
Esempio: verdi-gianfranco_larosarossa_20gen10.doc.
Il nome dell’autore non deve essere specificato all’interno del file.
Gli autori preselezionati (il comitato di lettura è formato dalla redazione di Oblique e Fandango) verranno annunciati una decina di giorni prima di ogni serata. Ogni racconto deve essere letto dal suo autore, che pertanto deve essere presente alla serata. Tutti i racconti preselezionati saranno pubblicati sul web.
Il termine per l’invio dei racconti è il 30 marzo, ma per la natura delle selezioni e delle serate le probabilità di venire selezionati si riducono drasticamente con l’approssimarsi della deadline. Affrettatevi dunque.
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sabato 20 febbraio 2010
venerdì 19 febbraio 2010
Mi piace ricordare e ripetere
Mi piace ricordare e ripetere ancora, anche se forse ne avrò già parlato e scritto in qualche altro modo o luogo o ancora nello stesso, questo pensiero di John David Barrow, astrofisico e matematico, che penso si commenti e si espanda da solo, e che anche se ripetuto, già scritto o già sentito, non risulterà mai come una mera ripetizione:
"Nessuna descrizione non poetica della realtà potrà mai essere completa".
J.D.B.
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giovedì 18 febbraio 2010
L'orgasmo del dettaglio
Trovo fondamentale, nella costruzione di un qualsiasi personaggio delle proprie storie, che sia cruciale o solo di passaggio - anche quelli di passaggio sono cruciali nella costruzione dell'impianto e anche quelli cruciali dovrebbero potersi nascondere liberamente in un certo ruolo, anche se sfumato, ma di passaggio - l'attenzione scientifica ai particolari. Trovo che ogni scenario vada immaginato come luogo ideale di un delitto al contrario, dove qualsiasi elemento ritrovi il destino di un procedimento autoptico e ossessivo. Ma senza farlo mai notare: l'ossessione del dettaglio e la sua grande cura perversa nei contrasti della tessitura, dovrebbero tramare all'interno dell'ordito e non scorgersi mai troppo al di fuori. Non dovrebbero mai appesantire il flusso ritmico impostato e nemmeno mai farsi traino; forse dovrebbero esserci senza esistere troppo, senza troppo respiro. Il dettaglio dovrebbe essere un elemento clandestino e prezioso, da spostare e arroccare con la sagacia di un grande scacchista insonne. Di un dettaglio fisico dovrebbe prevalere appena l'odore o lo spettro, come dalla trasparenza incerta e indefinita di un abito da sera, la punta svogliata e risonante di un inguine.
l.s.
mercoledì 17 febbraio 2010
L'occhio e un relativismo di bellezza
Per un occhio particolarmente attento, non credo che esistano in assoluto dei visi perduti, senza speranza naturale di bellezza. Penso che vi sia sempre un limite soggettivo di osservazione e quindi una grossa e considerevole percentuale di errore. Pensavo, solo per un esempio, a quanta bellezza possa esplodere in una ragazza canonicamente bruttina e dimenticata, che viene colpita o raccolta dalla raffica di un sorriso inatteso di qualcuno, o da un piccolo complimento ispirato e inspiegabile in cui possa trovarsi a inciampare, mentre è distratta, spaventata o scapigliata -personalmente non ho mai incontrato una tenerezza più grande e devastante di qualcuno sorpreso e trasformato da un bacio rubato di questo tipo- e quanto la sottile reazione possa rivelarsi così più profonda di informazioni e di sottopassaggi, a dispetto della statuaria e previdibile monotonia di molti inattaccabili standard di purezza estetica assoluta, in diversi casi anestetizzati dal farmaco della loro sicurezza e orfani di uno sguardo naturale che non riesce a rivolgersi a nessuna figura umana, senza l'inquinamento di un'esca brulicante, o larva di mosca carnaria.
l.s.
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Il talento e l'amore
Vorrei imparare ad amare qualcuno - e anche me stesso - soprattutto per tutto quello che non sa fare, di cui non è capace e che ha dimenticato e non per altro. Credo che sia il più grande dono che si possa fare a qualcuno e anche a se stessi. Forse l'unico modo per amare e per amarsi davvero.
l.s.
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martedì 16 febbraio 2010
lunedì 15 febbraio 2010
Senza titolo
Un giorno vorrei sentire il mio cuore come si muove, quando scrive...e imparare dalla ginnastica di questo castigo.
l.s.
l.s.
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Leggere poesie (Gedichte lesen)
Chi
da una poesia
si aspetta la salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie
Chi
da una poesia
non aspetta alcuna salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie
Erich Fried
da una poesia
si aspetta la salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie
Chi
da una poesia
non aspetta alcuna salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie
Erich Fried
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domenica 14 febbraio 2010
Ho osservato
Ho osservato diversi genitori, tra di loro anche molto diversi, e anche molto sensibili e intelligenti. Li ho osservati in rapporto all'approccio di misurazione e di relativa ostentazione sui pregi dei loro figli: li ho osservati anche gioire quando si indovina dall'esterno quel particolare pregio, che a volte sta più a cuore degli altri, o la profondità di sguardo e la bellezza degli occhi della loro bambina ballerina, con lo chignon che le scopre la nuca, e ancora il capriccio selvatico di un'attitudine o di un talento, la capacità di linguaggio e di intelligenza, la velocità dei riflessi; ho osservato madri parcheggiare in tripla fila per consegnarle in orario ai corsi di danza o di pianoforte, e ho saputo tutto dei loro figli, dai loro sguardi e dalle bocche dei loro amici. Mi è sfuggita solo una cosa, ma mi è sfuggita simultaneamente da più parti, anche lontane: la capacità di amare, del proprio figlio. Quella è sempre tenuta un po' nascosta, come un parente scomodo o uno zio un po' scemo da parcheggiare in cucina quando arrivano gli ospiti importanti. Al contrario, una certa naturale dimestichezza con l'odio o con forme simili e vicine, mette molto meno imbarazzo, a volte addirittura diverte, come se attestasse una certa propensione al dominio -in questi tempi così difficili è importante che ci si impari a difendere- e a volte si fa a gara nel branco dei parenti, da chi, tra i più riusciti e realizzati, abbia rimato da quel particolare gene, quel filo di veleno così originale, efficace e forse anche produttivo, in una certa confusa idea di futuro e di realizzazione.
È solo quello che in alcuni casi ho visto e ho sentito.
l.s.
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Corazón tan blanco
"...talvolta sono coloro che ci mettono sull'avviso contro un'idea a suggerircela, ce la suggeriscono in quanto ci mettono sull'avviso, e ci inducono a concepire quel che non ci sarebbe mai venuto in mente".
Javier Marías da Corazón tal blanco (Un cuore così bianco) Donzelli 1999
sabato 13 febbraio 2010
Sonno e bellezza
Nessun procedimento di svestizione di un corpo femminile o di eventuali esercizi erotici affini, potrà mai nessuna possibilità o speranza di bellezza sull'incontrastato dominio del procedimento contrario, quello di una qualsiasi donna al mondo che sbuchi, appena spettinata di sonno e confusa, da un maglione scuro a collo alto appena indossato.
l.s.
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Studio
Continuerei a guardarti se fosse ancora,
trascorrerti le notti nel tuo spleen rouge
dalle imposte socchiuse sul prato a più non fugge
senza ancora gli occhi a stancarsi della tardissima ora
e illuminarsi una fontana d'oro e di luci
di cieli asiatici vertiginanti fino all'elsa
a distanza di una nuit sola soletta, tu pensa...
che tu eri così lontana e ancora bruci
che poi eri una così e così, o appena di più,
quasi come se allora non fossi tu.
l.s.
venerdì 12 febbraio 2010
Angolazioni
Per descrivere in tutta la sua profondità il picco di una costellazione o di un qualsiasi grande plenilunio, non esiste miglior luogo al mondo della capsula metallica di un ascensore bloccato.
l.s.
"El cant dels ocells": Casals in Puerto Rico
Credo che nei misteri dei grandi fraseggi, una grande priorità vada sempre alla varietà del legato. La bellezza e l' arte di avvolgere e di avvicinare le consonanze e i singoli gradi di un'unità tematica così apparentemente semplice e scarna, ha ragioni scientifiche ma anche misteriosamente ispirate. "El cant dels ocells" è un antico canto natalizio catalano, risalente al Medioevo, e fatto quasi di niente, ma reso dal violoncello di Casals come un piccolo assaggio della sua grandezza stilistica: l'orizzontalità e il buon legato, grandissima minaccia per il pianismo classico, viene in questo mirabile esempio espressa come un unico grande affresco, suonato quasi senza occhi in una piccola coltre di nebbia, e in un grande respiro di arco, lineare, calmo ma terribilmente ricco di intensità espressiva. Senza bisogno di altro, di superfluo. La nota finale perde ormai del tutto di fisicità, è già altrove, più leggera di una palpebra che sogna.
Bellissimo lo sguardo sperduto della pianista appena dopo lo stacco di pedale e l'approvazione sobria e contenuta di Casals.
l.s.
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giovedì 11 febbraio 2010
Ten years ago...and i Would (you) Say Goodbye, again
Ti riprendo all'interno notte del maglio
di un ritorno a casa sul più tardi
così, appena prima di accendere, voglio
assicurarmi che senza luce tu mi guardi
e dalle scale il nuovo calco di un bunker
staccò di sagoma un dente più bianco
del tuo fantasma cool mai stanco,
come attacco risonante di un buon cluster.
Una tua traslucenza...
Con la luce accesa o dell' emergenza
tutto dopo si sragiona e si raggela,
ritrovando il sonoro senza suono della tua stanza
e tutti gli oggetti fuori posto e fuori scena,
come dopo un amplesso o una mattanza.
l.s.
l.s.
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martedì 9 febbraio 2010
Il faro di Sandra
Nelle cose che mi capita di incontrare, a volte esistono dei luoghi che ti prendono più di altri. Come questo, che è nato da un racconto di Sandra Mazzinghi e dove vi consiglio in qualche modo di dirottare: Il faro di Livorno è abitato. Conosco Sandra da molto poco, attraverso il suo blog, ma devo dire che è una persona dalla grandissima interiorità e sensibilità letteraria e umana, e credo che meriti quella dovuta attenzione da riservare a tutti quelli che hanno davvero qualcosa da dire.
Questo è invece quello che mi suscitò il suo racconto, subito dopo averlo letto la prima volta, direttamente da un commento a un suo recente post; (pensate: un post dedicato a una sua amica):
Scusami con la tua amica se invado lo spazio che le hai dedicato, ma mi sembrava giusto dirti subito e ancora a caldo tutto quello che pensavo sul tuo "faro", sul tenerissimo "uno due tre lampo di nuovo", che mi ha preso un po' alla gola, forse per una strana nostalgia di luoghi ariosi e lontani, di vacanze o di tempeste e vedute perdute o soltanto sognate. Penso che il tuo racconto non sia bello ma bellissimo: è un atto d'amore misurato e ispirato a un luogo della tua vita e forse del tuo cuore, sgranato con i tocchi delicati e impercettibili di un' abile paesaggista di coste e dirupi stranieri. Sembra quasi sussurrato e fiabesco, come se narrato sottovoce perché le parole non dicano troppo e lascino lo spazio all'altro che riesci a far vedere e intravedere, senza mai alzare la voce. Quello che tu hai scritto si abita e non si legge. Mi sembra anche un piccolo omaggio al mondo della scrittura. C'è tanto altro ancora. Io sono arrivato solo fin qui. Lo rileggerò ancora, con più attenzione. Ma forse, ripensando ai contenuti del tuo scritto, questo commento non è poi così in contrasto con il sorriso di Pela...anche quello sarà forse un tuo faro tra gli altri.
Davvero brava.
Esiste un video di Diana Krall,"Almost blue" che sembra fatto degli stessi suoni e della stessa grana dei colori di Sandra, almeno secondo me:
Esiste un video di Diana Krall,"Almost blue" che sembra fatto degli stessi suoni e della stessa grana dei colori di Sandra, almeno secondo me:
Luigi
lunedì 8 febbraio 2010
Due pensieri spettinati di Stanislaw J. Lec
"Anche l'analfabetismo altrui rende difficile lo scrivere".
"Si può inseguire coerentemente uno scopo per tutta la vita, se quello si sposta di continuo".
Stanislaw J. Lec
Per stasera è tutto.
l.s.
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domenica 7 febbraio 2010
sabato 6 febbraio 2010
Effetto d'autore
"D'inverno, accorciandosi le giornate, calava la sera prima che avessimo finito di cenare. Quando ci ritrovavamo nella strada la fila di case era già in ombra. Il tratto di cielo sulle nostre teste si faceva d'un color viola cangiante e verso di esso i lampioni alzavano le deboli fiamme delle lanterne. L'aria era fredda e pungente e noi si giocava fino a sentirci avvampare in tutto il corpo [...] Quando tornavamo nella strada, le luci delle cucine già inondavano i cortili".
Da "Arabia" racconto di James Joyce- (Gente di Dublino).
venerdì 5 febbraio 2010
La candela e il bambino: immagini prime in Bachelard
Riprendendo il capitolo VIII della Camera, mi rifaccio ancora al bellissimo saggio di Paolo Lagazzi, "Rêverie e destino", ampia traversata nei meandri di tutta l'opera bertolucciana, con ampie intuizioni e accostamenti molto indovinati e profondi. Sono al secondo giro di boa, questo pomeriggio ho riattacato l'episodio bruciante del rapporto assoluto e incondizionato del poeta con la figura dolorosamente materna, diversi gli strati di profondità: come suggerisce il Lagazzi, il tipo di lavoro richiederebbe un'analisi capillare per quanto sia ricco di richiami, come i giochi di luce e di ombra delle candele (penso con insistenza a certi maestosi interni sfocati e sanguigni del figlio Bernardo nel suo cinema e di quanto nutrimento nella scelta delle luci si evince da quella certa sensibile familiarità con i temi profondi e meditati del padre). Il percorso di oggi è fermo così alla bellissima fiammella di Gaston Bachelard, e al metodico rintocco del Lagazzi che riporto fedelmente dal suo originale, in questo modo:
"Incinta di nuovo figlio, il quinto - quello che sarà il protagonista della storia - e già di lui innamorata, la giovane donna si toglie
"infastidita al marito affettuoso,
s'avvia con la candela, stormente
cima d'oro nella notte
delle scale, il cuore che le scoppia,
alla dolcezza complice del letto
affocato di brace".
Chi può dubitare che Bachelard avrebbe posto, con entusiasmo, questa fiammella dorata (arricchita dal calore di una brace e da un sentimento così dolce, così esclusivo) tre le sue immagini prime [...]?"
p.l.
p.l.
Ancora una volta la spirale di un evento letterario che diventa come un ulteriore passaggio interno e segreto ad altre incessanti e altrettanto inquietanti verità di penombre o percorsi di lumi palpitanti "...palpita di lumi senza fine che trasmutano l'autunno in inverno", come il poeta Bertolucci ancora poco prima nello stesso capitolo, rivolgendosi a Parma.
l.s.
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Trovo la scrittura
Trovo la scrittura un affare meravigliosamente solitario.
Lo avverto come il passaggio notturno in un solco interpoderale che cambia sempre forma e confini, confuso tra la stanchezza della stessa pioggia, la nebbia, l'insicurezza della sua uscita, e dove incontri un amico dopo anni. Uno che in fondo non hai mai perduto e che si accosta per aprirti l'ombrello, o a volte la gola...
l.s.
giovedì 4 febbraio 2010
Due schizzi privati (o studi spleen sul buio...)
1
Dall'incanto di viale Oberdàn
i tuoi passi di un sabato non lontano
nella scansione che fumiga un tram tran
dove puoi leggermi gli occhi e un po' la mano
fucina di zingara che impenni ad ogni vertebra
rimasti da soli, in ludi e lumi di giostre,
a quelle piccole vite non più nostre
fino all'ultimo filatoio di tenebra:
2
e nell'attimo, all' attracco del buio,
le tende dalla buona seta dissepolte dal vento;
golfini sopra i camici la sera,
che svaniscono dal fuso del faro.
2
Che se non fosse per quel tuo sonno
forse davvero non ti avrei notato,
figurati, una in nero e in viola con la tuta,
e poi vecchia e bruttina da far danno;
ma dormivi e ridormivi quasi in piedi
tu dormivi e mi passavi una tristezza...
nel vagone della mia linea uno,
lontan così che non vi andò mai nessuno
se non la tua celebrità di stanchezza
che addormentata rivelasti piano
da quel frastuono lupo della galleria,
svanendo in una casa o in una mano
come una bambina in un tuono.
l.s.
mercoledì 3 febbraio 2010
François Villon
Magnifico volume di acquisizione paterna delle poesie di François Villon, forse il primo e autentico poeta maledetto francese, operante nell'alveo di una Parigi del XV secolo tra ballate e privati misfatti, tali da riservargli la condanna per impiccagione: una mirabile prima edizione italiana del 1959, da mozzare il fiato, con le pagine blu scuro alla sommità 22 tavole f. t. in nero di Michele Ranchetti, rilegato in tela. Giusto ieri sera, mettendo un po' d'ordine, ho dato una scorsa al testo, a questo poeta oscuro e francese che almeno all'inizio degli anni sessanta, o forse ancora oltre, non sembrava ancora molto noto ai lettori italiani. Ma io ancora non c'ero: dovrei essere perdonato. In letteratura c'è sempre tempo.
Il testo compare nell'originale e nella traduzione italiana di Nella De Paoli e Roberto Vecchi.
Un assaggio:
"Mes jours s'en sont allez errant
Comme, dit Job, d'une touaille
Font les filetz, quant tisserant
En son poing tient ardente paille:
Lors, s'il y a nul bout qui saille,
Soudainement il le ravit;
Si ne craings plus que riens m'assaille,
Car a la mort tout s'assouvit.
I giorni miei sono volati via
come, per quello che Job dice, fanno
i fili della tela, quando stringe
nel pugno il tessitor la paglia ardente:
se avviene che gli sporga qualche capo,
sollecito l'afferra e poi lo brucia.
Io più non temo che nulla mi nuoccia:
la morte pone fine a ogni cosa.
Da "Le Testament" di François Villon (Paris 1431)
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martedì 2 febbraio 2010
Lingua e Parole
Alcuni stralci dall'interessante capitolo di Roland Barthes, dai suoi Elementi di semiologia:
"Lingua e Parole: evidentemente ciascuno di questi due termini non trova una completa definizione se non nel processo dialettico che li unisce: non c'è lingua senza parole, e non c'è parole che si situi al di fuori della lingua...". Insiste quindi, il Barthes, su questo elemento sinergico, di reciproco allaccio e comprensione tra i due termini, parlando di questa comprensione reciproca imprenscindibile e poi, ancora oltre: " La Lingua non esiste perfettamente se non nella "massa parlante", bellissimo questo magma, quasi indefinito di vibrazioni fonetiche e vive, come pesci colorati in una vasca di neon, e ancora più avanti: D'altro canto la lingua è possibile solo a partire dalla parole: storicamente i fatti di lingua (è la parole a far evolevere la lingua), e dal punto di vista genetico, la lingua si costituisce nell'individuo mediante il processo di apprendimento della parole che lo circonda, citando poi le fasi del bambino al quale non si insegnano mai prima la grammatica e il vocabolario nelle fasi iniziali dell'apprendimento. (Stesso interessante approccio quando ci si accosta al parlato vivo e scorrevole - speak fluently- di una lingua straniera nuova senza partire necessariamente dall'ortodossia e dalle regole).
Dunque, sull'approccio e sull'investigazione semantica: a volte potrebbe apparire come qualcosa di ostico, sfera opaca di analisi quasi ammantata di scientificità e di oscuri debiti o rigori verso una tradizione dimenticata per distrazione o per troppa impazienza, avvertita come lontana o sfumata. Ma invece mi accorgo sempre di più di quanto sia preziosa l'ampiezza di una certa prospettiva dell'ingranaggio linguistico - come alternativa di veduta verso spazi più aperti e non mero procedimento autoptico - soprattutto di questi tempi, forse come atto d'amore per la nostra meravigliosa e preziosa impalcatura linguistica, sottoposta a continue flessioni semantiche, distorsioni e piccole silenti violenze, inflitte di furia, per la fretta di arrivare prima, di rendersi potente per il tempo impiegato nel messaggio e non per la sua cura e dedizione nello strutturarlo e definirlo - basterebbe guardarsi intorno, soprattutto in rete, per rendersi conto di quanta poca attenzione e quanto poco amore si impieghino nella costruzione delle frasi e del loro contenuto, forse per l'immediatezza dello strumento, nella sua apparente semplicità di utilizzo con riscontri sempre più istantanei e prevedibili. A volte si scrive un po' come si fischia, questo può essere suggestivo ma a lungo andare stanca. La tensione di molti che scrivono è associata all'urgenza di una risposta, di un riscontro quasi fisico, che trascende dal proprio bagaglio culturale e dalla propria storia -intimità lessicale - inserita nelle parole utilizzate e putroppo molti editori, (anche piccoli, purtroppo) si accaniscono sulla stessa ossessione nei confronti di quell'eventuale acquirente che dovrebbe avere il frutto già sbucciato, tagliato e zuccherato nel piatto, come se non fosse più in grado di aprirselo da solo, nel 2010! Sarebbe invece bello imparare a scrivere porgendosi invece delle domande, che forse non avranno mai risposte precise o immediate o alle quali risponderanno, semmai come risonanze, altre nuove domande incompiute che non saranno al contrario delitti affrettati e senza movente al proprio prezioso silenzio. Trovo, personalmente, in ogni parola che scrivo, un senso profondo e a volte minaccioso di grande responsabilità verso l'altro, il qualsiasi altro, "lo sconosciuto" a cui Roberto Calasso rivolge il suo lungo messaggio editoriale. Ed è per questo che non mi sento mai pronto al passo, neanche adesso che sto chiudendo questo semplice e tortuoso post.
I'm awful, sorry...
I'm awful, sorry...
l.s.
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lunedì 1 febbraio 2010
Micòl e la grande malinconia di Bassani
Da un'edizione Einaudi molto bella, del 1962: la scrittura precisa che sfila nel cotone, narrandosi come in un disegno, mai calcato ma accennato, senza sbavare né debordare o intrattenersi o trattenersi troppo, seguendo invece la bellezza e il tempo naturale di quei visi, come se fossero già perduti: anche Micòl, è tutta sfumata nella stessa rarefatta misura del pastello, nel gioco di quelle luci basse come se appena accese, nell'assestarsi il centrino delle prime volte o nella pioggia forte durante la visita alla rimessa e attutita di colpo con l'ingresso da soli nella vecchia carrozza: "Poi, senza cambiare posizione, le braccia raccolte attorno alle ginocchia abbronzate come se sentisse un gran freddo (era in calzoncini corti e maglietta di filo, del resto: con un pullover annodato al collo per le maniche)...".
Tutto si svela e si rivela nel tocco preciso ma mai troppo gridato o gradito, è come un accenno che va avanti da solo e solca di quel giusto, restando così dolorosamente indimenticabile - difficilissimo equilibrio, credo, specie quando la foga dell'espressività è così calda e urgente, come nel caso specifico del Bassani con i Finzi-Contini - e la naturale incantevole prospettiva dei personaggi, intagliata nel tempo e nella sospensione dei paesaggi interni-internati, mai uguali e come se tutti un po' in controluce: "Rimanemmo qualche attimo così, in silenzio", così scriveva, poco prima dell'altro passaggio citato. Li avverto ancora tutti come fotogrammi impalpabili e sempre più vivi, in sequenza e in armonia con un accuratissimo lavoro sulla memoria dei luoghi e degli eventi attraverso il maglio affettivo dell'elemento umano. Non è mai semplice strutturarlo in questo modo. Ancora più nitide le dinamiche, gli spostamenti rapidi o appena più appannati, a volte come ripresi dall'alto o a distanze diverse, dalla patina fumante-invernale di un grande vetro veneziano - Micòl, Alberto e il campo da tennis e ancora la magna domus e i suoi alberi diversi dai tanti nomi imparati a memoria - adesso come entità mutanti e vicine, parallele ai relativi destini di dispersione e di futuro -ma forse sottilmente già latente e quindi presente - disfacimento e poi abbandono.
Un ultimo bellissimo passaggio: "Quando la larghezza dei viali e dei sentieri lo consentiva, pedalavamo appaiati. Io guidavo spesso con una mano sola, tenendo l'altra appoggiata al manubrio della sua bicicletta. Nel mentre parlavamo: di alberi, soprattutto, almeno da principio". Mi piace ricordarla così...
Un ultimo bellissimo passaggio: "Quando la larghezza dei viali e dei sentieri lo consentiva, pedalavamo appaiati. Io guidavo spesso con una mano sola, tenendo l'altra appoggiata al manubrio della sua bicicletta. Nel mentre parlavamo: di alberi, soprattutto, almeno da principio". Mi piace ricordarla così...
Ecco perché non penso non ci si possa innamorare di questo Bassani, della sua "Scrittura della malinconia", come con grande eleganza e sapienza ne ritrae le caratteristiche Anna Dolfi, in un suo bellissimo saggio: "Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia".
l.s.
I think...
Cerco, in una qualsiasi forma di narrazione, di cogliere l'esistenza e l'espansione di un grande cuore narrante e ben profondo, non troppo scoperto, né macchinoso e né troppo evidente, fantasmico e inglese nei modi e negli aromi della sua forma impeccabile di apparizione. Un cuore tanto ampio quanto discreto e restio all'ostinazione violenta dello svelarsi subito. Restio ma lancinante di tristesse quando appare appena e poi sviene o scompare. Anche in una tessitura semantica particolarmente ostica, rimarrebbe l'unico solido punto d'attracco che giustifichi una fatica e una necessità espressiva, che ne sveli le trame nell'intarsio e degli accanimenti intellettualistici in un impianto strutturale; la trovo ancora la sfida più bella quanto più difficile da ottenere e da cogliere, forse il più attuale cantus firmus nel gioco sapiente delle linee sonore e della loro giusta condotta nelle parti, a volte difficile anche da ricercare -e da entrambe le prospettive - nella misura in cui possano esprimersi ed espandersi le misteriose caratteristiche di un grande invisibile contrappunto emotivo e sragionevole, a volte anche con lo stupore di non averlo nemmeno voluto cercare né ottenere, badando sempre che non scivoli mai, per eccesso o all'opposto per codardia, in un qualcosa di altro e di così diverso che finisca poi per oscurarlo al suo stesso glimmer....
È solo quello che penso...
l.s.
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