domenica 28 ottobre 2012

Lo scrivere nell'esser soli

Dentro, dietro e oltre le mie parole, ma credo anche in quelle di chi scrive con impegno, ricerca paziente ed ardore, esiste un mondo temporalesco e preverbale, che cammina di pari passo con quello che mi appare e che avverto controllabile da un certo tipo di procedimento o (in)disciplina. Che attenta alla pace del metodo, di qualsiasi metodo al mondo. Il fattore sismico e oscuro di un'esperienza profonda e solitaria, vissuta senza certezze, nel silenzio tombale - o peggio nel giudizio morale di un'estetica infarcita di convenzioni, ma avulsa da ogni logica e da ogni astrazione. 
Un universo filamentoso e lagunare, che si distende e si nasconde nel linguaggio stesso, con un suo vibrato stretto e capriccioso, ostinandosi  in sequenze astratte e aggressive, artigliate ai registri della  piccola voce rauca e stonata, che vorrebbe a tutti i costi la sua lucina sulla sedia, dove salire e canticchiare il suo piccolo a solo, per i pochi e ultimi amici assonnati rimasti. 
In questa soglia così delicata e confusa, nascono e si articolano sensazioni vaghe di linguaggi altri, che a volte diventano l'ombra di una parola, o forse del suo primo suono, non vincolandosi quindi all'ortodossia di un solo nesso logico,  di senso accertato o verificabile, ma a qualcos'altro, che mantiene in ogni caso un suo filo, anche se molto oscuro. 
Non credo di potermi identificare con la perfezione più o meno perseguibile delle mie parole: quella è la strada più facile, la più domabile. Conta molto di più l'abbandonarsi alla dilatazione del loro spettro verso l'imperfezione di quel disordine così scomodo e così poco economico,  ma che in qualche modo mi ama e mi rappresenta, come poche altre cose al mondo mi hanno mai amato e rappresentato nella loro invisibilità. 
Adesso che scrivo sento tuonare. Il processo verso la parola a volte ha la stessa forza implosiva di un tuono nella notte per un bambino solo: qualcosa di tremendo e di calcato a mano sullo sterno della sua vita di quell'attimo, che gli rivolta il cuore. Che fa tremare i vetri della sua stanza e che non si vede.

2 commenti:

Marco ha detto...

Spesso quel mondo temporalesco appare troppo grande, lo si rincorre con la consapevolezza di non avere la capacità di domarlo. Di non avere sufficiente tempo per dargli la caccia, catturare la sua forza e ordinarla in un cosmo di dettagli e parole. Capaci di comunicare, di scuotere il piccolo mondo dell'individuo. Immagino che questa sensazione di impotenza accada a chiunque scriva con impegno.
Però, che fare? Perché tacere quando attorno ci sono solo parole vuote?

luigi ha detto...

Io sto sempre più optando, almeno nella mia ricerca, in un riparo nel temporale e non dal temporale. È rischioso ma mantiene vivi.
saluti e grazie
luigi