sabato 20 ottobre 2012

Quando tutto crolla prega:

Se quando scrivo chiedo permesso, chiedo scusa, per paura di infrangere qualche regola, per paura che il ragazzino di turno mi parli di disambiguazioni; per paura di disturbare, di pisciare con la porta aperta, di fare troppo rumore, di essere caldo ma stonato o freddo perché troppo intonato; di creare confusione, disturbo, frustrazione, apprensione, tensione, interruzione, o di non essere nel  giusto; di essere come non si dovrebbe o non si potrebbe, di stravolgere, travolgere o di schizzare qualcuno, di stoccare l'interno di un gomito o di un ginocchio, di respirare nel modo sbagliato,
allora il mio non sarà un atto creativo, ma un atto distruttivo di tutto l'eventuale potenziale creativo disponibile, che potrei forse avere avuto a disposizione per qualche piccolo istante di saggezza e di libertà. Quando scrivo e penso a quello che qualcuno potrebbe dirmi,  allora sto correggendomi prima di sbagliare e di precipitare,  ed è quello che il circa 80% delle persone vorrebbe che accadesse, con scrittori che scrivono pensando unicamente all'efficacia degli amori degli altri lettori per i loro altri scrittori. Senza sapere che l'amore non ha nulla a che vedere con l'efficacia. Sono due cose lontanissime: se amo uno scrittore, il mio amore per lui non sarà basato sulla sua efficacia. E nemmeno saranno poco efficaci gli altri scrittori che non scrivono come quello che amo. L'incontro con uno scrittore è quasi sempre una questione oscura e misteriosa. Anzi, toglierei del tutto quel quasi: almeno nel mio caso lo è sempre. Non si può ritenere qualcosa inefficace solo perché non la si ama, così come non si possono ritenere valide ed efficaci soltanto le cose amate. 
Proseguendo lungo il filo: non posso aspettare qualcuno che mi dica, se sta di genio, che ho del talento. Io non so quasi nulla del mio talento e di me, non più di quanto sappia dei nuovi inquilini del palazzo di fronte o del cane randagio che piscia sangue su via Scipione. Non conosco questi termini: disambiguano, direbbe qualche illustre, ma sono carta straccia. Oggi si parla soltanto di carta straccia, si rettifica e si classifica la gamma espressiva di chi vuole esprimersi e non esimersi, e ci si dimentica il fulcro doloroso che porta qualsiasi scrittore a mettersi in gioco, (questa rigidità, mi dispiace dirlo, la riscontro in diversi giovanissimi appassionati, ma blindati e murati nei loro amori e nelle loro convenzioni, quando invece dovrebbero scrivere come draghi, con le fiamme che gli escono dal culo e dalla bocca).
A tredici anni scrissi un romanzo horror, adesso non so che fine abbia fatto, ma dentro c'era tutta la mia follia di quel momento. Non avevo idea di quello che facevo, era un atto inconsapevole ma preciso, inconsulto e orrorifico; ero esattamente nel tempo di una chiavata infernale con la mia vita. Credo di non aver mai scritto con più efficacia, pur nell'inefficacia di un vulcano in eruzione che svaniva nella sua stessa lava.
Se qualcuno mi dicesse di lasciar perdere, io continuerei, ma se qualcuno mi dicesse di continuare, è molto probabile che vi sarebbe una buona motivazione nel lasciar perdere. Ma certe cose non si chiedono. Non posso chiedere a nessuno al mondo del mio possibile quanto inutile talento. Non posso chiedere il permesso a nessuno, non è giusto, anche perché nessuno me lo ha mai chiesto. 
Nemmeno posso però aspettare il rimprovero per cercare di dire la mia nel solo modo che conosco. C'è chi vorrebbe che tu fossi un altro e scrivessi come qualcuno che non sei e che non sai chi sia e che non sarai mai. È come dire: lavati le mani prima di scrivere. Scrivi con un'altra mano, un altro pensiero. Bacia con un'altra bocca. Una migliore, ma che non sia la tua. Come dire a chi ami di togliersi gli occhiali. Io non so chi sono, quando scrivo, ma il rapporto con questo sconosciuto è un rapporto sano e univoco, non ottimizzato dal filtro di qualcun altro, per mia fortuna. 
In questo clima, se qualcuno deciderà in questo istante di imbarcarsi in un'attività così frustrante, disturbante, caotica, anche se bellissima, lo faccia, per cortesia, senza chiedere permesso prima di entrare o scusa prima di aver urtato qualcuno. Lo faccia con coraggio e incoscienza ma anche con grande amore e delicatezza.
Concludo, in questo delirio di assoluta impotenza, dicendo che ho sempre la stessa precisa sensazione, quando devo leggere un paio di righini anemici su qualche mio scritto: quella di aver preso una merda e di occupare la sala delle feste di un palazzo ducale in una serata di gala e di sbadigli, dove tra l'altro non sono stato nemmeno invitato. Sensazione precisa, limpida, sempre la stessa. Incantevole, a dir poco, dal momento che il mio scrivere non ha uno scopo se non quello di perdermi.
Chiudendo con Miller, da Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch:

"Ma non darebbe un'occhiata al mio manoscritto, per favore? Non può darmi, almeno, qualche parola di consiglio?". No, non posso. Anche se avessi il tempo e l'energia, o la presunta saggezza, sarebbe inutile. Uno deve credere con tutto il cuore in ciò che sta facendo, rendersi conto che è il meglio che possa fare al momento- rinunciare ora e sempre alla perfezione!- e accettare le conseguenze di ciò che comporta la paternità...Non esiste un libro di "aperture", come nel gioco degli scacchi, da poter compulsare. Per trovare un'apertura bisogna fare una breccia nel muro: e il muro è quasi sempre nella propria mente. Se senti il desiderio e lo stimolo di assumerti grandi compiti, allora scoprirai in te stesso le virtù e le capacità necessarie alla loro realizzazione. Quando tutto crolla, prega!". 
Henry Miller. 

Ecco la mia aria aperta: 

0 commenti: