Provo un disagio sempre più crescente. Il disagio per un certo clima, che avverto in diversi contesti e situazioni che osservo e a cui mi accosto, ritraendomene subito, come un dito da una punta di fiamma. A volte mi sento invisibile, ho la sensazione di non esistere, che il sentirmi così a disagio mi cancelli. Alcune volte mi immagino o mi sforzo di sentirmi perfettamente a mio agio in questa invisibilità, in altre mi sento ancora più lontano da me, ancora più a disagio, ma in quel caso a disagio con me e non con i contesti e con le situazioni.
Saranno sensazioni certo, ma il clima che avverto è molto lontano dal mistero fitto dello scrivere che mi porta a farlo senza alcuna considerazione sull'efficienza di questo mistero, nemmeno sulla sua deficienza, sui suoi numeri. Un mistero non sarà efficiente o deficiente, ma semplicemente misterioso. Il mio disagio più profondo è che, in diversi casi, l'obiettivo e di rendere meno misterioso e solo più efficiente un percorso espressivo, di qualsiasi tipo esso sia. Di rischiararlo, codificarlo, ma senza nemmeno penetrarlo, ma interrogandolo con le verità precostituite, con il vezzo di fare per il fare, per il gusto del ben fare o del buon dire: tutto il resto è da buttare. Un clima di svogliatezza, rampantismo, tendenza ai decaloghi, alle grandi verità, alla voce grossa. In questo clima preferisco essere un muto, ma ancora felice del mio star muto nella solitudine di un mutismo: solitaire, solidaire.
In un clima di forte disagio, come quello che da diverso tempo sta dilagando sempre di più dentro di me, forse perché sto diventando consapevole di una certa realtà, anche analizzando con attenzione diversi comportamenti, mi accorgo che la mia voce contraria e contrariata risulterà sempre più appannata, come i finestrini di un treno che parte a Natale, verso una destinazione oscura, con l'odore forte di zucchero tostato e di mandorle, ma anche di medicine e guaiacolo, con tutto il fumo e la nebbia intorno...
...ecco che cosa mi ha ispirato il bellissimo passaggio da La pazienza dell'arrostito, di Guido Ceronetti. Ha descritto mirabilmente il mio disagio, e l'oscurità delle certezze che mi circondano e che forse mi faranno decidere di continuare a scrivere davvero solo per me, non che già non lo faccia, ma alzando un muro sulla possibilità di una qualsiasi condivisione. Ci sto pensando sul serio. In ogni caso il blog continuerebbe lo stesso, è un elemento che mi ha molto arricchito e a cui sono molto legato, che non sarebbe intaccato da questa possibile chiusura, che potrebbe avvenire questo stesso pomeriggio, tra un paio di anni o anche mai, ma che il mio disagio crescente mi prospetta e mi nutre, come un seno di balia.
Ma adesso veniamo al nebbioso di questo estratto incantevole, che ho ripreso per caso giusto stamattina, e che rivela diversi aspetti profondi e inquietanti di un tempo e di questo disagio interno e radicato che sale:
"Un velo triste ha coperto le cose e non è un'illusione dell'animo malinconico transitiva; c'è qualcosa che somiglia ad un calo d'irrorazione d'amore. Di tutto si parla in un altro modo e se non s'impara questo linguaggio la presa sul mondo diminuisce. Di che cosa ( una finestra, un arco, una figura dipinta, una donna, un'idea...) si parla ancora mossi da attaccamento commosso, da passione di profondità, come si volesse accarezzarla pronunciandone il nome, perseguendone nel linguaggio il segreto della manifestazione? Mi sposto da un luogo a un luogo e mi si confonde e svapora la Geografia Emotiva: tra il luogo e il suo nome altro, che non conosco, che è oscurità, si frappone. Le cose non vogliono essere più amate e si coprono con la toga come Cesare, soltanto per ricevere ventitré miliardi di pugnalate convenute in quel punto per assassinarle. Credo non ne possano più, le cose, di essere studiate per qualche fine di utilità, scrutate e analizzate incessantemente da intelligentissimi cretini. La poesia, che era oscura, si è fatta più oscura: ha il timore che si capisca troppo che attraverso di lei qualcuno abbia amato, luoghi e nomi viventi si siano arroventati di passione..."
Da La pazienza dell'arrostito di Guido Ceronetti. Edizioni Adelphi
4 commenti:
Ti annoda lo stomaco, il passaggio che hai scelto.
Manuela G.
Sì, lo trovo molto forte. Quello più consonante a tutto quello che avverto in questo periodo.
A presto e grazie della visita, Manuela G!
l.s.
Dunque, il libro lo trovo in biblioteca ---una buona ragione per uscire prima di cena. Il tuo scritto invece è salvato in un documento di testo nella mia Scatola Magica....
Grazie, mille volte grazie dello slancio e del coraggio delle tue condivisioni a lama fredda e appassionate. L'espressione che usi a proposito dello scrivere soltanto per sé non è proprio quella che troverei anch'io per dire, in realtà, qualcosa che ha dimora in quello stesso nido di sentimenti che esprimi tu, in cui, se mi permetti, lascio specchiare anche la mia malinconia.
rosaturca
Ciao!
Il libro è molto bello e ricco, te lo consiglio. Sono davvero onorato e colpito per il fatto che un mio scritto così nebbioso sia finito in una Scatola Magica. Spero che il suo contenuto sia all'altezza del suo contenitore.
buona serata,
luigi
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